lunedì 29 giugno 2015
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Alla fine, negli Stati Uniti d’America ha prevalso una lettura individualistica dei diritti umani, con l’emarginazione dei princìpi di realtà e solidarietà, e la Corte Suprema s’è espressa, con un solo voto di scarto, a favore dell’estensione del matrimonio gay a tutti gli Stati dell’Unione. Insieme a manifestazioni di consenso per la decisione, altri commenti hanno sottolineato la forzatura procedurale e sostanziale che si è consumata, a opera di una magistratura che si è sostituita ai Parlamenti e alla volontà popolare, e sembra che qualche Stato voglia resistere anche alla pronuncia della Corte. Il punto, però, non è formale, e riguarda il superamento di quella linea rossa che distingue la pretesa del singolo di appagare i propri desideri comunque, e il rispetto dei diritti altrui. La linea rossa investe i minori che potranno darsi in adozione alle coppie gay, perdendo così il diritto alla doppia genitorialità, cioè ad avere un papà e una mamma come previsto nell’orizzonte di crescita armonica che dovrebbe garantirsi ai bambini di tutto il mondo.È un salto nel buio non dissimile da altri che si compiono in materia di maternità e fecondazione assistita, per i quali ormai si va diffondendo (in specie negli Usa) la pratica della cosiddetta maternità surrogata che vede tante donne, soprattutto nei Pesi più poveri, prestare il proprio corpo per soddisfare il desiderio di filiazione di coppie che non possono o non riescono a realizzarlo naturalmente. Anche in questo caso prevale l’Io dei ricchi, e le donne bisognose sono ridotte a una condizione servile, offrono il corpo ad altri per dare la vita a un bambino che non sarà mai loro, sarà consegnato ai committenti. Un caso di sfruttamento, e di alienazione, come l’ha definito Silviane Agacinski, esponente storica del femminismo francese, impegnata da tempo contro questa pratica, perché «un neonato non può essere né donato, né venduto», in specie usando «forme di servitù che attentano alla libertà della persona, alla dignità del corpo» della donna. Donne e minori non sono più soggetti di diritti propri, ma oggetto di dominio altrui.In Europa, e in Italia, assistiamo da tempo a una pressione crescente per legittimare le nozze gay, e un suo riflesso è stato il documento approvato di recente dal Parlamento europeo, già commentato su Avvenire, con cui si "raccomanda" una strategia che porti a questo risultato. Ma è bene dire subito che la realtà europea è molto diversa da quella americana. Anzitutto in termini giuridici e istituzionali, perché ogni Stato nazionale, che faccia parte dell’Unione europea, o partecipi al Consiglio d’Europa che si riconosce nella Convenzione dei diritti del 1950, mantiene intatta la propria sovranità legislativa in materia di famiglia e matrimonio. L’ha più volte riconosciuto, né poteva fare altrimenti, la Corte di Strasburgo, quando s’è occupata dell’argomento con una sentenza del 2010 e ha affermato che l’articolo 12 della Convenzione non impone agli Stati di riconoscere il matrimonio gay. Soprattutto la situazione europea, e dei singoli Paesi, è diversa, nella sua identità culturale, per la radice solidarista che ne è a fondamento e impedisce che venga negata la difesa dei più deboli. In Francia, Spagna, Germania e tante nazioni dell’Est europeo sono attivi movimenti popolari vastissimi per difendere l’unicità e la tutela giuridica della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, in modo particolare per assicurare ai bambini il diritto alla doppia genitorialità, quale mezzo indispensabile per la loro crescita e formazione equilibrata. In Italia, tra l’altro, alcuni settori e personalità della sinistra si sono espressi chiaramente per i diritti dei minori, contro l’adozione a coppie gay, o abnormità come la maternità "delegata", e questo orientamento può costituire terreno di dialogo e di incontro per normative dirette a riconoscere i diritti che spettano a tutti, a prescindere dalle tendenze sessuali.Per queste ragioni, nonostante qualcuno sia tentato di farla passare come un precedente utile per il nostro Paese, la sentenza della Corte Suprema degli Usa si colloca in un contesto del tutto diverso da quello europeo e italiano. Perché non esiste alcuna istanza europea che possa imporre ai singoli Stati una determinata legislazione familiare, e perché la tradizione europea ci chiede di non consentire mai che il diritto dei più forti prevalga su quello dei più deboli. Non possiamo regredire rispetto alle Carte dei diritti umani del Novecento, dobbiamo ribadire che il diritto ad avere un padre e una madre non è un privilegio, è fondamento d’ogni altro diritto che spetta a chi nasce sulla terra: sappiamo che questa verità, questo linguaggio, sono compresi da chiunque, sono il cuore di un sentire comune che pone infanzia e maternità al centro dell’ordinamento, non in zona periferica.
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