Opinioni

Il caso. Coltiviamo il seme lasciato da Navalny: sosteniamo gli oppositori in Russia

Raffaella Chiodo Karpinsky martedì 20 febbraio 2024

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Non si saprà mai come sia davvero morto Alexeij Navalny. Ciò che è certo, è che la sua vita è stata colpita più volte e che lui è tornato sempre a casa. La sua Russia. L’altra Russia. Quella che lui e tanti altri dissidenti vorrebbero vedere affermarsi.

La moglie Yulia, subito dopo l’annuncio della morte, si è rivolta in primo luogo proprio a loro: «Putin, il suo giro di amici e il suo governo porteranno la responsabilità per quello che hanno fatto al nostro Paese, alla mia famiglia e a mio marito. Questo giorno arriverà presto e voglio chiamare tutta la comunità internazionale, le persone di tutto il mondo a mobilitarsi tutti insieme per sconfiggere l’attuale regime in Russia».

Un messaggio per oppositori come Vladimir Kara-Murza, Ilya Yashin, Alekseij Gorinov o Boris Kagarlitsky potrebbe quasi suonare come un invito a tacere. Per non fare la stessa fine. In questi mesi sono state rese pubbliche le loro lettere e il comune invito a non arrendersi. Fra queste, la lettera di Kara-Murza pubblicata su “Avvenire” lo scorso primo febbraio. Kara-Murza per primo sa quale sia stata la storia di Sergeij Magnitsky - l’avvocato russo che denunciò la corruzione del governo, arresto nel 2008 e morto dopo undici mesi di custodia - e quale possa essere il livello della minaccia.

Certo, la disperazione di chi continua a resistere alla logica della guerra e della repressione subisce un ulteriore e duro colpo. Ma, forse, è anche un segnale di debolezza del sistema. Ciò che andrebbe compreso, ora, da parte della comunità internazionale tutta – dalle istituzioni alla società civile – è che i prigionieri politici in Russia non vanno abbandonati a sé stessi. Lo sono stati, purtroppo, in questi ultimi anni, non solo dal 24 febbraio 2022.

Dagli oppositori e dissidenti ai giornalisti: Anna Politkovskaja, i suoi colleghi della “Novaya Gazeta” e tanti altri per la maggior parte sconosciuti in Occidente. È una responsabilità che va accolta come impegno da parte della coscienza civile collettiva. A partire dal mondo della solidarietà e della difesa dei diritti umani, che ha sempre voluto costruire legami e prendersi cura senza preclusioni e ideologie dei destini delle persone e dei popoli del mondo.

Di questa coscienza civile c’è un immenso bisogno, soprattutto adesso. Per non abbandonare chi sta dietro le sbarre, e per sostenere chi è ancora “libero” - i due Nobel per la Pace Oleg Orlov e Dmitri Muratov, ad esempio - ma prova adesso ancora più paura. Oggi tante donne e uomini, tanti giovani in diverse città della Russia si stanno esponendo per commemorare Navalny. E ci guardano. Ci guardano la ragazza di Murmansk e quella di Mosca, che nonostante la paura hanno trovato il coraggio di uscire allo scoperto e compiere un piccolo gesto che le facesse sentire vive e non annullate dalla violenza e dalla guerra.

A loro e a tutti i dissidenti nella vita quotidiana servirebbe un messaggio di vicinanza e sostegno molto più percepibile di quello arrivato finora. Per non sentirsi schiacciati fra l’oppressione del regime in Russia e la nostra indifferenza. Yuri Shevchuk, leader della storica banda rock russa DDT, ha commentato così la morte di Navalny: «Dopotutto non si tratta solo di Navalny. Verranno a prendere proprio te, domani. Se non gli vai a genio. L’altro ieri Anna Politkovskaya e Nemtsov, ieri Prigozhin. E domani? Potresti essere esattamente tu. Ricordate la citazione? “Prima vennero a prendere i socialisti e io tacqui perché non ero socialista, poi vennero a prendere il sindacalista e io tacqui perché non ero sindacalista. Poi vennero a prendere i giudei e io tacqui perché non ero ebreo. Quando vennero a prendere me, non c’era più nessuno che potesse parlare”. È una delle varianti del discorso del pastore tedesco Martin Niemöller per spiegare l’inazione dell’intellighenzia tedesca durante il nazismo».

Un piccolo seme di resistenza piantato dal mondo degli artisti che si oppongono alla guerra. E che sono rimasti nel Paese, come hanno fatto Orlov e Muratov: sono loro la prima linea dell’opposizione e rappresentano l’unica base su cui si possa immaginare una rinascita della nuova Russia democratica e aperta al mondo. Un seme che va sostenuto, coltivato e non lasciato morire.