mercoledì 6 marzo 2024
Il premier è bloccato a Porto Rico dopo aver cercato di tornare da Santo Domingo. Gli Usa: «Non sosterremo militarmente il rientro ma non gli chiediamo di dimettersi». Si riunisce il Consiglio Onu
Il capo della banda G9, Jimmy Chérizier alias Barbecue

Il capo della banda G9, Jimmy Chérizier alias Barbecue - Ansa

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«Non chiediamo ad Ariel Henry di dimettersi ma di accelerare la transizione verso una struttura di governo inclusiva che prepari il Paese alla missione di supporto multilaterale». Il confine è sottile. Tanto più perché il chiarimento del dipartimento di Stato Usa è arrivato al termine di una giornata convulsa. Nella notte tra martedì e ieri, Henry ha cercato di rientrare ad Haiti. Con l’aeroporto di Port-au-Prince circondato dalle gang, il piano era atterrare nella Repubblica Dominicana e attraversare la frontiera. All’ultimo, però, le autorità di Santo Domingo hanno negato l’autorizzazione e il charter della Gulfair ha dovuto fermarsi a Porto Rico dove Henry sarebbe tuttora bloccato. Washington si è affrettata a precisare che non avrebbe aiutato militarmente il rientro del premier, fino ad allora sempre sostenuto. Un cambio di strategia brusco e inatteso, frutto, secondo fonti ben informate, di recentissimi colloqui virtuali con l’opposizione haitiana che chiede da tempo le dimissioni del premier. Il dissenso politico, dalla settimana scorsa, si è saldato con la “rivolta delle gang”, guidate dal boss Jimmy Chérizier alias Barbecue. Quest’ultimo è riuscito a unificare le quasi duecento bande nemiche nella coalizione “Viv Ansanm”, dal creolo “Vivere insieme”. E, in una conferenza stampa, ha minacciato la «guerra civile» se Henry non avesse fatto un passo indietro. «Finirà in un genocidio», ha tuonato Barbecue in mimetica, circondato dai fedelissimi. Vari esperti sostengono, però, che dietro il boss ci sarebbe il controverso Guy Philippe, tornato a novembre dagli Usa dopo aver scontato una condanna per narcotraffico, già coinvolto nel 2004 nel golpe contro Jean-Bertrand Aristide.
Un personaggio che difficilmente Washington e la comunità internazionale potrebbero considerare un interlocutore credibile. Oltretutto, una sostituzione al vertice potrebbe creare nuovi ostacoli al dispiegamento della missione internazionale a guida kenyana, proprio ora che sembrava imminente. Il dipartimento di Stato ha, dunque, voluto sottolineare, seppur in modo ambiguo, di non avere del tutto scaricato Henry. Al Consiglio di sicurezza Onu, previsto nella notte, il compito di trovare la quadra in questo gioco di dichiarazioni e negoziati sotterranei. Nel frattempo, a Port-au-Prince, gli scontri vanno avanti feroci. Con la conquista di porto e scali, le bande hanno isolato il Paese. «Siamo preoccupati perché è estremamente difficile accedere alle nostre scorte mediche – ha detto Mumuza Muhindo, capomissione di Medici senza Frontiere (Msf) ad Haiti –. Temiamo di restare senza farmaci e forniture, beni assolutamente essenziali per soddisfare le enormi necessità attuali».

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