sabato 4 maggio 2024
Washington preme su Netanyahu e sul Qatar. Per i mediatori i miliziani accetteranno alla fine il primo passo del piano, con il rilascio di ostaggi senza garanzie sulla fine della guerra
Una dei familiari degli ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas

Una dei familiari degli ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas - Ansa

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Un accordo in tre fasi in cui, secondo indiscrezioni di media, gli Stati Uniti garantirebbero (ma Israele nega) il completo ritiro delle truppe di Israele da Gaza in 124 giorni. Eccolo, il punto su cui per la prima volta dall'inizio del conflitto Israele e Hamas si trovano vicini, anzi vicinissimi.

Nella prima fase, che potrebbe durare 40 giorni, verrebbero rilasciati 33 ostaggi (su 132) e l’esercito arretrerebbe. Gli sfollati potrebbero rientrare, senza limitazioni, nelle aree di provenienza. Nella seconda fase, che si estenderebbe fino a 42 giorni, verrebbero rilasciati i rimanenti ostaggi ancora in vita (non è chiaro quanti siano) e le parti si accorderebbero sulle condizioni per un cessate il fuoco definitivo. Nell’ultima fase, che potrebbe durare fino a 42 giorni, verrebbero restituiti i corpi degli ostaggi morti (sarebbero decine). Nel quadro dell’intesa è prevista anche la scarcerazione di centinaia di detenuti palestinesi

Le mediazioni e il ruolo degli Usa

Con il capo della Cia William Burns arrivato al Cairo per mediare di persona, Hamas e Israele si trovano davanti a un ultimatum non dichiarato. Un fallimento sarebbe un boomerang per entrambi. Con Hamas che, su pressione Usa, vede il Qatar minacciare di sfratto Hanyeh e gli altri leader riparati a Doha, e Tel Aviv che potrebbe definitivamente perdere l’incondizionato appoggio americano, quando le università Usa sono in subbuglio e Joe Biden non può chiudere il suo mandato all’insegna della repressione.
In pieno “Shabbat” la delegazione israeliana non si è mossa fino al tramonto. Al Cairo restano comunque funzionari di Tel Aviv, ma l’intesa deve essere siglata con un patto al più alto livello: i mediatori cairoti e qatarioti con i capi dei servizi segreti di Israele e Stati Uniti, a faccia a faccia con i leader di Hamas. Israele ha dato un assenso preliminare ai termini che, secondo una fonte, includono la restituzione di un numero di ostaggi compreso tra 20 e 33 in cambio del rilascio di centinaia di prigionieri palestinesi e di una sospensione dei combattimenti per alcune settimane. Rimarrebbero a Gaza circa 100 ostaggi, alcuni dei quali, secondo Israele, sarebbero morti durante la prigionia.

Ma secondo i media israeliani «restano alcuni ostacoli avanzati dai palestinesi», anche se secondo Axios « ci sono prime indicazioni che Hamas alla fine accetterà di portare a termine la prima fase dell'accordo – il rilascio umanitario degli ostaggi – senza un impegno ufficiale di Israele di porre fine alla guerra». L’insistenza del premier Benjamin Netanyahu affinché Israele entri a Rafah, è un altro «elemento chiave del negoziato». Fonti di Hamas hanno ribadito che qualsiasi raggiungimento di un cessate il fuoco «significa che non ci saranno più attacchi contro Gaza e Rafah». La richiesta è stata respinta da Tel Aviv, ma Taher Al-Nono, funzionario di Hamas e consigliere del capo del leader politico Ismail Haniyeh, nel pomeriggio aveva confermato gli incontri con i mediatori egiziani e qatarioti, assicurando che l’organizzazione sta affrontando le loro proposte «con piena serietà e responsabilità. Quindi lo spazio di manovra c’è. Anche se «qualsiasi accordo venga raggiunto deve includere le nostre richieste: la fine completa e permanente dell’aggressione, il ritiro totale e completo dell’occupazione dalla Striscia di Gaza, il ritorno degli sfollati alle loro case senza restrizioni e un vero accordo di scambio di prigionieri, oltre alla ricostruzione e alla fine del blocco». Parole che vengono interpretate con l’intenzione di alzare il prezzo e tentare di ottenere un contraccambio: tregua temporanea concessa da Israele, in cambio di aiuti e del rilascio di Marwan Barghouti.

È il nome che circola da tempo sul tavolo dei negoziati. Israele ha sempre detto di no, e l’Autorità palestinese si è mostrata fredda davanti a questa ipotesi, preferendo parlare del rilascio di «tutti i prigionieri politici palestinesi e non di un singolo». Ma la proposta arrivata da Hamas ha preso quota nelle ultime settimane, e da Israele è filtrata una controproposta: rilasciare Barghouti a condizione che vada a Gaza e non in Cisgiordania. Un modo per mettere in difficoltà Yahya Sinwar, che conduce le operazioni militari di Hamas. Lo stesso Barghouti più volte dal carcere ha condannato l’attacco del 7 ottobre. «I civili devono essere tenuti fuori dai giochi», aveva detto l’ex leader di Fatah, la forza politica dominante in Cisgiordania. E mentre in serata in tutto Israele sono riprese le manifestazioni contro Netanyahu, in Cisgiordania altri 5 palestinesi sono stati uccisi durante una retata israeliana a Tulkarem.


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