lunedì 18 marzo 2024
Nella notte l'irruzione nella struttura sanitaria di Gaza City, indicata nuovamente come covo di Hamas. Un copione che si ripete, segno che Israele non ha estromesso i miliziani dal Nord alla fame
I familiari di un defunto portano via dall'ospedale al-Shifa il cadavere in un sacco bianco: l'immagine è stata scattata il 15 marzo scorso

I familiari di un defunto portano via dall'ospedale al-Shifa il cadavere in un sacco bianco: l'immagine è stata scattata il 15 marzo scorso - Ansa

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Esattamente quattro mesi fa. Era il 18 novembre 2023 quando l'esercito israeliano fece evacuare centinaia di medici e pazienti dall'ospedale al-Shifa di Gaza City, il più grande della Striscia. Situato in quel settore Nord dell'enclave che è ormai svuotato dei suoi abitanti e in gran parte distrutto e dove i 300mila rimasti rischiano la morte per fame, con i camion dei viveri che faticano a entrare e i (costosissimi) aiuti paracadutati o arrivati con la nave Open Arms (200 tonnellate, pari a una dozzina di camion) che valgono quanto gocce nel mare. Ebbene, oggi 18 marzo l'esercito israeliano ha fatto nuovamente irruzione nell'ospedale al-Shifa, ne ha chiesto l'evacuazione e ha nuovamente accusato i sanitari di ospitare miliziani di Hamas.

Nell'impossibilità di verificare in maniera indipendente le accuse, resta un dato incontrovertibile: dopo cinque mesi di guerra, l'esercito israeliano non ha il pieno controllo del Nord di Gaza e si trova a ripetere un'operazione sostanzialmente identica a quella di quattro mesi prima. Vale la pena ricordare che l'enclave palestinese è un fazzoletto di terra lungo 42 chilometri e largo da 6 a 12, per una superficie totale di 365 chilometri quadrati (per capirci: quanto il lago di Garda).

L'offensiva di novembre sull'ospedale e i medici arrestati

L'offensiva israeliana di terra era scattata a fine ottobre. Il 27 ottobre l'ospedale al-Shifa era stato circondato dai carri armati e il portavoce dell'esercito, Daniel Hagari, mostrava alla stampa la mappa della struttura spiegando che lì sotto si trovava il principale centro operativo di Hamas. Dopo giorni d'assedio, e l'evacuazione frettolosa dei pazienti in grado di uscire, il 18 novembre i soldati avevano fatto irruzione. All'interno erano rimasti 120 pazienti e 6 medici. L'esercito aveva mostrato ai giornalisti armi e munizioni trovate negli ambienti sotto l'ospedale. Dei terroristi nessuna traccia, nelle settimane successive erano stati arrestati con l'accusa di terrorismo diversi membri del personale sanitario.

Si era ancora all'inizio del conflitto, le vittime palestinesi erano conteggiate in 12mila e di lì a pochi giorni sarebbe arrivata la tregua che a fine novembre consentì, in dieci giorni, il rilascio di un centinaio di ostaggi israeliani e alimentò, sia pure per poco, la speranza di un cessate il fuoco.

La notte scorsa il copione si è ripetuto

Quattro mesi dopo, nella notte fra domenica 17 marzo e lunedì 18 marzo, il copione si ripete. Alle 2.30 locali, in seguito a informazioni di intelligence secondo cui i terroristi stavano utilizzando il complesso come quartier generale militare, le truppe hanno fatto irruzione, preso il controllo dell'ospedale dopo uno scontro a fuoco e arrestato oltre 80 persone. Nei combattimenti è rimasto ucciso un soldato, portando il totale a 250 dall'inizio dell'offensiva di terra.

Video condivisi online mostrano un edificio del complesso medico di al-Shifa in fiamme e militari che operano al suo interno. Un secondo video mostra sfollati che fuggono dall'ospedale prima dell'alba.

Secondo il ministero della Sanità di Gaza, erano rifugiati nella struttura 30mila palestinesi. «Chiunque tenta di muoversi viene preso di mira dai proiettili» scriveva la notte scorsa su Telegram.

In una nota congiunta le fazioni palestinesi hanno affermato che prendere di mira gli ospedali «porta avanti la guerra di sterminio intrapresa dall'occupazione contro il popolo palestinese ed è una flagrante violazione di tutte le convenzioni e leggi internazionali».

Agli sfollati l'ordine di evacuare verso sud

Le Forze di difesa hanno fatto irruzione anche nella scuola americana che si trova vicino all'ospedale di al-Shifa e hanno arrestato gli uomini al suo interno, secondo quanto riporta al-Jazeera. Alle donne che erano nella scuola è stato detto di evacuare verso Deir el-Balah, nel centro della Striscia, attraverso la strada costiera di al-Rashid.

A tutti i palestinesi che vivono vicino all'ospedale al-Shifa è stato detto di spostarsi a sud, trasferendosi nella «zona umanitaria» di al-Mawasi, sulla costa desertica in corrispondenza della zona tra Khan Yunis e Rafah. Sul social X il tenente colonnello Avichay Adraee, portavoce dell'Idf (Israel defence force) in lingua araba, ha condiviso una mappa delle aree che devono essere evacuate e chiesto ai civili di spostarsi attraverso la strada costiera.

Tra quel lembo di terra, in tende improvvisate sulla spiaggia, e la città di Rafah sono stipate oltre un milione e mezzo di persone. E il bilancio delle vittime, dopo oltre cinque mesi di guerra, è salito a 31.726 morti e 73.792 feriti. I dati sono forniti dagli ospedali al ministero controllato da Hamas, ma vengono definiti attendibili dalle Nazioni Unite e sono stati citati anche dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Non tengono conto dei dispersi rimasti sotto le macerie, stimati in migliaia.

Medici senza frontiere: pazienti per terra e moltissimi sfollati

Medici senza frontiere (Msf), che al Nord non è più presente ma tiene contatti abbastanza regolari con il personale sanitario, riferisce di 236 pazienti ricoverati all'al-Shifa. L'ospedale finora «era uno dei due più grandi nella Striscia e uno dei pochi ancora funzionanti», spiega ad Adnkronos il portavoce di Medici senza frontiere, Maurizio Debanne, citando la visita nell'ospedale del capomissione di Msf in Palestina Leo Cans, il 14 marzo.

Msf, ricorda, «è stata costretta a lasciare l'ospedale di al-Shifa mesi fa, a causa dell'operazione militare israeliana». Ma ci sono «colleghi palestinesi che hanno deciso di rimanere al suo interno, di non spostarsi dal Nord». Ed è con loro che Msf sta cercando di tenersi in contatto. Tra questi ci sono Loay Harb e Maher Sharif, due infermieri di Msf che, su base volontaria, hanno deciso di restare e che si recano quotidianamente all'ospedale al-Shifa per occuparsi del cambio delle medicazioni dei feriti. Solo venerdì, Harb descriveva una «situazione catastrofica a Gaza City» e una «situazione medica dei pazienti molto complessa» all'al-Shifa poiché «nell'ospedale ci sono tantissimi sfollati, il che rende ancora più difficile il nostro lavoro. Alcuni pazienti vengono messi sul pavimento. Non ci sono abbastanza letti e spazi».

Ripresi i negoziati a Doha, «dureranno 2 settimane»

Con la partecipazione di una delegazione israeliana, sono ripresi a Doha in Qatar i colloqui per una tregua che consenta il rilascio degli ostaggi ancora nella Striscia (134, di cui meno di cento in vita) e l'ingresso di una maggiore quantità di aiuti umanitari. A mediare le trattative tra Israele e Hamas sono le intelligence egiziana e qatariota e la Cia. A Doha è presente il capo del Mossad (i servizi israeliani), David Barnea. La bozza d'intesa su cui si discute prevede 42 giorni di sospensione dei combattimenti e dei raid, 40 ostaggi rilasciati al ritmo di uno al giorno (prima anziani, ammalati, minori e donne comprese le soldate) e la scarcerazione di un numero da definire di detenuti palestinesi (Hamas ne chiede tra i 700 e i 1.000). Citando un funzionario israeliano, il Times of Israel scrive che i colloqui potrebbero durare due settimane. A dettare i tempi sarebbero le comunicazioni, piuttosto complesse, tra la delegazione e i leader militari a Gaza, a partire dal capo Yahya Sinwar.

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