sabato 30 settembre 2023
Molti Stati del Sud del mondo stanno negoziando sconti sui passivi internazionali impegnandosi per progetti ambientali Sono 34 i Paesi vulnerabili a rischio per il peso dei debiti
Via i debiti per un po' di natura: lo scambio che aiuta i Paesi fragili
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«Una nazione indebitata deve fare dei tagli. E i primi ad essere eliminati sono i programmi per la tutela delle risorse naturali». Sono trascorsi quasi quarant’anni da quando il biologo e pioniere nella difesa della biodiversità, Thomas Lovejoy, lanciò sul New York Times, per la prima volta, l’idea di ridurre i passivi dei Paesi a basso e medio reddito che si fossero impegnati a investire le risorse “abbonate” in programmi di protezione degli ecosistemi a rischio. La sua proposta, tre anni dopo, si sarebbe trasformata – con l’esperimento pioniere in Bolivia - nei cosiddetti “scambi debito per natura” o “scambi debito per clima”, ai quali finora hanno partecipato in vario modo 140 Paesi. Un mercato da oltre 800 miliardi di dollari e in continua espansione dato l’incombere del dramma climatico. Nel maggio scorso, addirittura, l’Ecuador è riuscito ad ottenere lo sconto più consistente di sempre: oltre un miliardo in meno di debito. Una cifra ingente anche se il passivo di Quito continua a rappresentare quasi il 62 per cento del Pil. Grazie all’aiuto di Credit Suisse, la garanzia monetaria della Banca interamericana di sviluppo (Bid) e l’assicurazione della Corporazione finanziaria di sviluppo Usa (Dfc), il “Galapagos bond” consente allo Stato di avere a disposizione 12 milioni l’anno per la salvaguardia dei 198mila chilometri quadrati di riserva dell’arcipelago, situato a mille chilometri dalla costa, e casa di 3.500 specie, molte delle quali uniche sulla terra.


1 miliardo
lo sconto sul debito ottenuto dall’Ecuador, finora il più alto

59
i Paesi in via di sviluppo più vulnerabili rispetto all’emergenza clima

13
i miliardi di debito che il G20 ha deciso di sospendere nei confronti di 47 Paesi

10%
la riduzione del debito rispetto al Pil ottenuta nel 2021 dal Belize

Come le tartarughe marine e le iguane che ispirarono a Charles Darwin la teoria dell’evoluzione. Un primo stanziamento da 3,4 milioni è stato appena approvato e, da gennaio, contribuirà al recupero di dodici specie endemiche ora scomparse dall’isola di Florena, una delle più conosciute delle Galapagos. Finora la gran parte degli “scambi debito per natura” sono avvenuti in America Latina, circa la metà del totale. L’esperimento ecuadoriano viene guardato, però, con attenzione anche fuori dal continente. Gabon e Sri Lanka sarebbero in piena trattativa per raggiungere un’intesa simile. E molti altri, soprattutto in Africa, potrebbero seguirne le orme. Una tale effervescenza è il risultato di una duplice crisi. La pandemia ha fatto schizzare il livello d’indebitamento del Sud geopolitico del pianeta, affamato di risorse, indispensabili per affrontare l’emergenza sanitaria e il suo impatto sociopolitico. Nel 2021, la media dei passivi pubblici è cresciuta di oltre sei punti percentuali per i Paesi a basso reddito – passati dal 43,5% del reddito al 49,6% – e di quasi dodici per quelli a medio reddito – da 54,6% a 66,1% -, rispetto a due anni prima. Di fronte all’impennata e al rischio di un tracollo a catena, il G20 ha deciso, tra maggio 2020 e dicembre 2021, un’iniziativa globale di sospensione del debito rivolto a 47 nazioni in grave difficoltà per un totale di quasi 13 miliardi di dollari. Il meccanismo, tuttavia, è lento e farraginoso.

Solo Etiopia, Ciad e Zambia sono passati all’effettiva implementazione. I criteri, inoltre, tagliano fuori i Paesi a medio reddito. Da qui la necessità di trovare nuove strategie. La scelta di rispolverare e aggiornare gli “scambi debito per natura” è tutt’altro che casuale. Oltre al Covid, l’altro motore del continuo indebitamento degli Stati poveri sono le catastrofi cosiddette “naturali”. Cosiddette perché il moltiplicarsi di fenomeni estremi, quali alluvioni, siccità prolungate, uragani di violenza inedita, sono conseguenza del riscaldamento globale, sul quale l’essere umano e le sue emissioni hanno – parola degli scienziati – «inequivocabile responsabilità». I disastri ambientali si accaniscono con particolare furia sui Paesi a basso e medio reddito. Non solo perché tanti sono collocati in “punti sensibili”. Bensì perché i loro governi hanno meno risorse per attutirne gli effetti, i quali distruggono le economie di sussistenza grazie alla quale sopravvive la maggioranza degli abitanti. Trentaquattro dei 59 Paesi in via di sviluppo più vulnerabili all’emergenza climatica sono anche ad alto rischio di implodere sotto il peso dei debiti. Un danno enorme per loro ma anche per il resto del pianeta. Perché nel Sud geopolitico sono collocati anche ecosistemi cruciali per rallentare la corsa al rialzo delle temperature. Senza fondi sufficienti – e i pochi esistenti impiegati per ripagare i creditori -, stabilizzatori globali del clima quali la foresta amazzonica e il bacino del Congo rischiano di scomparire. In questo contesto, “gli scambi debito per natura” acquistano nuovo appeal come confermano le recenti pubblicazioni di Banca mondiale e Fondo monetario internazionale e i gruppi di studio creati dal Tesoro Usa e dalla Commissione Europea nel 2021.

La gamma di risorse da offrire a garanzia dello sconto si è ampliata. A partire dall’esperimento delle Seychelles nel 2016, sempre più spesso le garanzie di tutela riguardano gli ecosistemi marini, oltre 18mila aree la cui sopravvivenza è a rischio proprio per mancanza di fondi. Due anni fa, il Belize ha ottenuto la riduzione del 10% del passivo rispetto al Pil proprio grazie all’impegno di ripristinare la propria barriera corallina. Le Barbados hanno seguito la stessa strada. Esempi importanti per la regione caraibica, la più esposta ai disastri naturali e quella con più difficoltà ad accedere ai fondi per il clima: finora ha ricevuto solo 800 milioni. Certo, gli “scambi debito per clima” non sono la panacea di tutti i mali, fiscali e ambientali, delle economie in difficoltà. In primo luogo, come lo stesso Fmi ha ammesso, non possono sostituirsi ad accordi di ristrutturazione più consistenti. I fondi per contribuire all’adattamento dei Paesi poveri al riscaldamento globale, di cui sono responsabili in minima parte, e la riparazione dei danni già subiti richiedono molte più risorse. Deve, infine, sempre esserci un’attenta verifica dell’effettivo impiego in chiave ambientale del denaro scontato dal debito da parte dei governi beneficiari. Questi scambi, però, rappresentano un passo importante nel processo di ristrutturazione dell’architettura finanziaria internazionale, senza il quale – come più volte ripetuto nei recenti vertici Onu sul clima – ogni intento di contenere l’aumento delle temperature è destinato a restare un miraggio.

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