mercoledì 1 novembre 2023
Non si silenzi l'azionariato critico
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Avrebbe senso avviare con uno spacciatore un «dialogo e confronto », detto engagement, nel mondo della finanza sostenibile, non per chiedergli di cambiare mestiere bensì per stimolarlo a spacciare in modo più sostenibile, responsabile, etico? L'esempio è ovviamente estremo ma può aiutare a far capire come funziona la finanza che alle origini si chiamava etica e che oggi non pochi chiamano finanza Esg. Un acronimo che indica i fattori ambientali, sociali e di governance considerati in strategie d'investimento che vogliano essere riconosciute come sostenibili, responsabili, etiche. Dietro il quale, però, è montato un greenwashing di proporzioni tali da mettere a rischio la credibilità stessa della finanza sostenibile. Problema (gigantesco) del greenwashing a parte, la finanza sostenibile ha sempre avuto fra i suoi pilastri i criteri di esclusione. Tutta una serie di settori e attività economiche cosiddetti “controversi' - termine politically correct per dire eticamente inaccettabili ai più, specie agli occhi degli investitori religiosi (faithbased) che fin dalle origini rappresentano lo zoccolo duro degli investitori sostenibili - sono sempre stati esclusi da chi voleva essere riconosciuto come investitore sostenibile, responsabile, etico. Ad esempio armamenti, alcol, gioco d'azzardo, tabacco, a crisi climatica conclamata sempre più le energie fossili. “Esclusi' anche dall'engagement (come testimonia il boom del fossil fuel divestment, il disinvestimento dalle società del settore delle fossili) perché per cambiare pelle dovrebbero chiudere bottega. Per tutto il resto, però, l'engagement è la quintessenza della finanza sostenibile. Che è soprattutto fare engagement per spingere le società investite a essere a loro volta sempre più sostenibili, responsabili, etiche. Un'attività che richiede tempi lunghi, costanza, e prevede anche la possibilità di andare nelle assemblee degli azionisti delle società investite per far valere le proprie ragioni di fronte al management, al resto degli azionisti, in generale all'opinione pubblica. Pratica quest'ultima che viene di solito indicata come “azionariato critico’,’ in quanto critica le indicazioni del management, e può risultare molto potente ed efficace.

Per farla breve, engagement e azionariato critico sono pilastri da cui la finanza sostenibile non può prescindere, pena snaturarsi. Rischio che però oggi c'è. Perché è in discussione in Parlamento un Disegno di Legge che potrebbe drasticamente ridurre lo spazio per l'azionariato critico in Italia. Questo, almeno - specie con riferimento a questioni socio-ambientali legate alle attività delle grandi entità finanziarie e delle grandi aziende italiane spesso partecipate in maniera significativa dallo Stato -, è quanto denunciano insieme ReCommon, Isde Italia, Greenpeace Italia, The Good Lobby e Fondazione Finanza Etica (Gruppo Banca Etica). Se approvate nella forma attuale, infatti, alcune disposizioni del Disegno di Legge n. 674 ('Interventi a sostegno della competitività dei capitali') permetterebbero alle società di apportare modifiche statutarie che introdurrebbero forti limitazioni all'accesso in assemblea, “silenziando” l'azionariato critico.

La stessa Consob in audizione si è detta contraria, richiamando anche normative europee. Non solo: potrebbe essere prorogata la possibilità (introdotta con la pandemia) di tenere le assemblee a porte chiuse. Un silenziamento al quadrato, insomma. Già in crisi di credibilità nel mondo per via del greenwashing, in Italia la finanza sostenibile rischia pure di perdere o perlomeno vedere gravemente depotenziato uno dei suoi pilastri identitari. Tradotto: emergenza, rischio di perdere l'anima in corso! Chi si occupa istituzionalmente in questo Paese della materia farà qualcosa? Una “rivolta' sarebbe quanto meno plausibile, data la posta in gioco.

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