mercoledì 18 ottobre 2023
L'effervescenza dei ricercatori italiani si scontra con il difficile reperimento di fondi degli ultimi anni. Ora occorrono interventi strutturati e mirati
Le crisi aumentano, finanziare la ricerca diventa indispensabile
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La ricerca pubblica italiana è di ottima qualità: in media un ricercatore italiano pubblica ogni anno più lavori internazionalmente molto citati di un ricercatore americano, tedesco o francese. Ciò accade nonostante gli investimenti in ricerca pubblica siano stati sempre bassi, addirittura diminuendo – nei dieci anni che vanno tra il 2008 (prima della crisi economica) al 2018 – dallo 0,60% del Prodotto interno lordo (Pil) allo 0,50%. Nel frattempo, la Germania aumentava la sua frazione di Pil in ricerca pubblica da 0,90% nel 2012 a 1,10% nel 2022 e, come conseguenza di scelte politiche divergenti, nel 2022 per ogni cittadino Italia e Germania spendevano in ricerca pubblica 210 e 510 euro. Per effetto dei tagli fatti in quegli anni, la ricerca pubblica – sia di base sia applicata, fatta nelle Università e negli Enti di ricerca come il Cnr, l’Infn e l’Enea – soffre di gravi mancanze di risorse, di personale, di stipendi adeguati, di infrastrutture di ricerca e di snellezza amministrativa. L’indifferenza della maggioranza delle forze politiche è incomprensibile perché da vent’anni l’Italia si sviluppa più lentamente degli altri Paesi europei e molti studi hanno dimostrato che v’è una stretta correlazione tra ricerca e sviluppo economico. Purtroppo, l’ottimo punto di partenza dell’Italia non porta i frutti possibili per mancanza d’investimenti e di programmazione a lunga scadenza e induce, tra l’altro, i giovani ricercatori andati all’estero a non più tornare.

Data la situazione, nell’ottobre del 2020 quattordici scienziati di diverse discipline, guidati da Luciano Maiani, riprendendo una proposta avanzata qualche mese prima da chi scrive, pubblicarono sulla prima pagina del una lettera aperta al premier Giuseppe Conte, nella quale si descriveva la grave situazione e si chiedeva di portare le risorse dedicate alla ricerca pubblica dallo 0,55% del Pil del 2019 allo 0,75%, la media dei Paesi dell’Unione Europea. Per raggiungere questo risultato sarebbe stato necessario investire 15 miliardi nel quinquennio 2021-2025, portando il bilancio annuale della ricerca pubblica dai 10 Mrd del 2019 a 15 miliardi. Il piano Amaldi-Maiani – come la proposta fu chiamata dall’allora Presidente dell’Accademia dei Lincei Giorgio Parisi – diede origine a un ampio dibattito pubblico. Nel 2021 le priorità di spesa, le risorse necessarie nei prossimi cinque anni e le modifiche da introdurre ai metodi di distribuzione dei fondi a gruppi di ricerca e singoli ricercatori furono oggetto di una seconda lettera aperta al premier Conte e, dopo il cambio di Governo, di un appello al premier Mario Draghi e alla Ministro dell’Università e della Ricerca Maria Cristina Messa che, per affrontare il problema, creò un ‘Tavolo per la ricerca fondamentale’ coordinato da Luigi Ambrosio, Direttore della Scuola Normale. Il documento “Strategia per la ricerca fondamentale” – pubblicato nel luglio del 2022 dal Tavolo Ambrosio – discuteva tutte le criticità del nostro sistema ricerca e avanzava proposte precise sul reclutamento delle Università e degli Enti di ricerca, le borse di dottorato, le infrastrutture di ricerca e il finanziamento dei Progetti di rilevante interesse nazionale (Prin) e delle borse per i ricercatori meritevoli.

Le risorse necessarie erano giustificate, anno per anno e su nove voci di bilancio del Ministero dell’Università e della Ricerca, in un secondo documento intitolato “Piano quinquennale 2023-2024 per la ricerca pubblica” e ammontavano a 10,4 miliardi in 5 anni per raggiungere, nel 2027, lo 0,70% del Pil. In quello stesso anno entrò in vigore il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) che prevede, sotto il titolo “Dalla ricerca all’impresa”, 11,5 miliardi da investire fino al 2026. Nella “Strategia per la ricerca fondamentale”, prodotta dal Tavolo Ambrosio, l’esame di questi finanziamenti, fatto dall’economista Mario Pianta, portò a una prima conclusione: ad aumentare le risorse della ricerca pubblica sarebbero andati 6,9 miliardi, un intervento importante che avrebbe per messo di avvicinarsi, nel 2023-2024, allo 0,75% del Pil. Tuttavia, il Pnrr termina nel 2026 e questo giustifica la seconda conclusione: senza un intervento pluriennale e strutturale, nel 20262027 la frazione di Pil dedicata alla ricerca pubblica sarebbe scesa sotto lo 0,60%, il livello di venti anni prima. Soltanto l’approvazione da parte del Governo, nella legge di bilancio del 2023, del piano quinquennale 2023-2027 da 10,4 miliardi avrebbe stabilizzato, dopo il 2027-2028, la frazione di Pil dedicato alla ricerca pubblica a livelli non lontani dalla media europea. Le elezioni anticipate del settembre 2022 resero impossibile questa approvazione ma la proposta non restò inascoltata perché, nel febbraio del 2023, la Ministro Anna Maria Bernini istituì un Tavolo interministeriale, coordinato da Raffaello Bronzini della Banca d’Italia, per la ricognizione di tutte le spese dello Stato in ricerca pubblica. Anche utilizzando i dati così raccolti – e tenendo conto dell’anno trascorso e della più difficile situazione economica e finanziaria – è stato predisposto, per il quadriennio 20242027, un piano Amaldi-Maiani da 6,4 miliardi, che raggiunge gli obiettivi più importanti del piano quinquennale da 10,4 miliardi e stabilizza la spesa in ricerca pubblica vicino allo 0,70% del Pil; per lanciarlo, nel 2024 sono necessari 300 milioni.

Presentato a luglio nel corso di un Simposio dell’Accademia dei Lincei, alla presenza della Ministro Bernini, lo si può trovare sul sito dell’Accademia: www.lincei. it/it/news/piano-quadrienna-le-2024-2027-la-ricerca-pubblica . La ricerca pubblica, e in particolare la ricerca di base guidata dalla curiosità e dal desiderio di conoscenza, è quella che ha fornito le grandi scoperte all’origine delle tecnologie, dei processi e prodotti che hanno cambiato la nostra vita, ponendosi come cardine dello sviluppo socioeconomico dei Paesi avanzati. La pandemia da Covid-19 aveva dato la dovuta centralità alla scienza e alla ricerca ma nell’ultimo anno e mezzo la crisi energetica e gli effetti del cambiamento climatico sembra l’abbiano fatta dimenticare, anche se il tema è diventato ancora più importante perché da queste crisi si uscirà soltanto con più scienza e più persone preparate a utilizzare le sue ricadute tecnologiche. La situazione economica e finanziaria è molto difficile, le richieste sono tante e i cittadini chiedono interventi immediati. È compito del Governo e del Parlamento fare scelte lungimiranti, non limitandosi a intervenire sui problemi del momento ma investendo anche nello sviluppo a lunga scadenza dell’Italia.

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