mercoledì 28 febbraio 2024
La ricerca Clean Alps ha svelato che sia la plastica che altri materiali e oggetti, dimenticati o persi, abbondano sulle cime alpine
Un mucchio di lattine ritrovate sulle Alpi nel corso della ricerca Clean Alps

Un mucchio di lattine ritrovate sulle Alpi nel corso della ricerca Clean Alps

COMMENTA E CONDIVIDI

Fazzoletti di carta, mozziconi di sigarette, biancheria intima, oggetti in plastica di vario tipo e di varie epoche, packaging di alimenti, bottiglie e frammenti di vetro. Non sono solamente le grandi montagne dell’Himalaya e del Karakorum ad essere costellate di rifiuti lasciati dall’uomo ma anche le nostre Alpi Nord occidentali. A svelarlo sono i risultati di Clean Alps, la prima ricerca al mondo sull’inquinamento da plastica sulle montagne: condotta negli ultimi due anni dalla European Research Institute di Torino con il finanziamento del North Face Explore Fund/European Outdoor Conservation Association e il contributo di diversi enti di gestione delle aree naturali protette del Piemonte e della Valle d’Aosta (Parco naturale delle Alpi Marittime, Parco del Monviso, Parco naturale Mont Avic, Associazione Gestori Rifugi alpini del Piemonte), il suo obiettivo è studiare la plastic pollution e salvaguardare il prezioso habitat alpino di bassa, media e alta quota.

Si tratta, infatti, di uno degli ultimi ambienti selvaggi dell’Europa meridionale e uno degli elementi chiave per lo sviluppo di parte del nostro continente: vitale dal punto di vista ecologico, culturale, sanitario ed economico, è un patrimonio da difendere non solo dalle insidie del cambiamento climatico ma anche, appunto, dalle diverse e invasive forme di inquinamento. Il progetto si è articolato in 46 escursioni scientifiche (per un totale di quasi 500 chilometri) effettuate su tutto l’arco alpino nordoccidentale in base ad uno specifico protocollo. «Dal marzo 2022 al novembre 2023 abbiamo battuto valli e sentieri di alta montagna situati tra Piemonte, Lombardia, Svizzera, Liguria, Francia affrontando dislivelli fino a 30mila metri e studiando aree tra loro differenti in quanto a tipologia e vocazione », spiega il coordinatore, Franco Borgogno. «Dopo esserci concentrati sull’inquinamento da plastica con spedizioni sull’Artico e sul Mediterraneo, ci è sembrato importante completare la nostra ricerca studiando i luoghi dove inizia il ciclo dell’acqua: le montagne».

Attraverso la cosiddetta citizen science, la scienza partecipata, che ha visto all’opera anche nei luoghi più impervi 810 partecipanti volontari guidati dai ricercatori, è stato così recuperato e censito quasi mezzo chilo di rifiuti ogni chilometro. Ampia la varietà degli oggetti documentati: pneumatici, cotton fioc, puntine da disegno, lattine, bottiglie d’acqua e altri contenitori, pezzi di plastica solidi. Persino confezioni alimentari risalenti agli anni Settanta del secolo scorso. «Ma, soprattutto, abbiamo trovato fazzoletti di carta: quattro fazzoletti e mezzo ogni chilometro. Essendo trattati per resistere, la loro biodegradazione diventa molto complessa in alcune zone particolarmente fredde e poco luminose: per questa ragione possono durare nell’ambiente anche qualche anno», continua Borgogno.

«Gli indumenti intimi, rinvenuti in una escursione su tre ad alte quote, vengono generalmente dimenticati o persi, magari perché appesi fuori dagli zaini. Lo stesso accade con le suolette delle scarpe, le fibbie, i guanti, i cappelli, i bastoncini per l’escursionismo. Anche la gran parte della plastica che abbiamo ritrovato è il risultato di una dispersione casuale: quella volontaria, infatti, non supera il 5% e generalmente riguarda la plastica monouso». Clean Alps segue il progetto Stop the Alps becoming plastic mountains – che nel 2021 ha prodotto un’importante ricerca sulle microplastiche nella neve – e continua con altre iniziative. « Facciamo educazione nelle scuole di ogni ordine e grado, coinvolgiamo nelle attività di formazione operatori della montagna e del turismo, interloquiamo con le istituzioni locali, collaboriamo con il movimento globale Break Free From Plastic, con la Commissione Europea, con le aziende che producono gli oggetti e i packagings e con i gestori dei rifugi del Piemonte», conclude il coordinatore del progetto: «Se riusciremo ad incrementare la vendita dello sfuso, riusciremo a diminuire la quantità di confezioni (disperse) e aiuteremo le comunità locali».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: