mercoledì 20 dicembre 2023
Immigrati, figli, studenti... Ripopoliamo la “nave Italia”

Ansa

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A inizio 2023 l’Italia contava circa 59 milioni di abitanti, uno su quattro con più di 65 anni, uno su otto con meno di 14. Per il 2050 l’Istat si aspetta, nello scenario mediano, che la popolazione si riduca a 54,5 milioni di persone e che la fascia di età più numerosa sia quella tra i 75 e i 79 anni. Ma la demografia non è – o meglio non dovrebbe essere – destino. Per virare verso acque migliori abbiamo bisogno di ripopolare la “nave Italia”: attirare e integrare famiglie e giovani stranieri, aiutare le coppie ad avere i figli che desiderano, ridurre la dispersione scolastica, aumentare il numero di laureati. Insomma, serve accrescere il “capitale umano”.

Francesco Billari, 53 anni, demografo, rettore dell’Università Bocconi, ha appena pubblicato per Egea un densissimo e prezioso saggio dal titolo Domani è oggi – costruire il futuro con le lenti della demografia, nel quale offre un approccio basato sulle persone e sul tempo, per aiutare a capire quanto sia necessario, di fronte alle sfide del presente, emanciparsi dalla sensazione di “permaemergenza” e governare il cambiamento a partire da una solida analisi dei dati.

Ne deriva, per l’Italia che invecchia e si restringe, la necessità di riforme coraggiose in tre ambiti fondamentali: l’immigrazione, la scuola, l’autonomia residenziale dei giovani. «Si tratta – spiega Billari ad “Avvenire” – di costruire una società aperta e inclusiva, amichevole, rispettosa delle diversità, cosmopolita, dove la qualità della vita è alta, i giovani non devono fuggire, mentre chi arriva desidera rimanervi, è accolto e aiutato a integrarsi».

In 20 anni la quota di popolazione straniera in Italia è salita dal 2,7 all’8,6%. L’immigrazione è un fenomeno strutturale, non un’emergenza. «In un contesto di bassa fecondità le migrazioni forniscono un apporto demografico fondamentale – dice Billari –. Essere una terra di immigrazione è il frutto di un successo, accettiamolo, anche perché nell’attrazione di popolazione siamo in competizione con altri Paesi. Non abbiamo altre opzioni: dobbiamo attirare persone e famiglie alla ricerca di una vita migliore, e per fare questo è necessario dotarsi una politica migratoria esplicita».

L’obiettivo di mantenere la popolazione costante si traduce in almeno 450mila ingressi l’anno per i prossimi dieci anni, cioè 100mila immigrati in più al netto delle emigrazioni. Come? Decreti flussi ampliati, canali di ingresso regolari per studenti, lavoratori e famiglie, investimenti per l’integrazione di chi è già qui, ius soli temperato, uno sguardo capace di vedere nei richiedenti asilo una sfida di accoglienza e anche un’opportunità. «Dobbiamo essere franchi e pragmatici: se ci mettessimo tutti insieme ad analizzare i dati, il tema di una gestione inclusiva dell’immigrazione raccoglierebbe consensi bipartisan». L’invito è a ritrovare lo «spirito costituente».

E la natalità? Billari esprime una visione guidata dal realismo. «Prima che un amento dei nati produca effetti, pensiamo ad esempio al sistema previdenziale, devono passare decenni. È un errore contrapporre migrazioni e natalità: in un’ottica di lungo periodo è importante investire a favore della genitorialità, ma l’ottica del demografo dice che oggi non possiamo prescindere dal fenomeno migratorio e da politiche di integrazione. L’Italia deve diventare un Paese in cui sia bello crescere i figli, per gli italiani e per coloro che ci permetteranno di tenere le scuole aperte nei territori che si spopolano».

Anche in questo caso, si tratta di affrancarsi dalla narrazione ansiogena dell’emergenza permanente. «I Paesi di riferimento nel welfare familiare, come la Francia e la Svezia, o la Germania, hanno affrontato il problema molto tempo fa, partendo da una solida analisi dei dati, e i risultati sono arrivati con gli anni. Cosa serve? Non c’è una singola grande riforma capace di far ripartire le nascite. In Italia si è riscontrata una grande convergenza nell’approvazione del Family act… Poi ci si deve confrontare le risorse disponibili e i problemi di bilancio». Oltre che con un’agenda delle priorità piegata sul presente, come dimostra anche l’ossessione per il tema previdenziale. Billari ci offre un altro esempio emblematico: «Se si parla di una misura come il Reddito di cittadinanza la prima cosa a cui si dovrebbe pensare è che arrivi innanzitutto ai bambini, come in altri Paesi, invece in Italia sono stati penalizzati proprio i minorenni».

L’orologio delle riforme chiama in causa soprattutto la scuola. Metà degli studenti in Italia non raggiunge titoli e livelli di apprendimento adeguati, il 38% dei maschi e il 33% delle femmine tra i 25 e i 64 anni non ha diploma scuola secondaria (in Europa la media è del 20%), i laureati sotto i 34 anni sono meno del 30%, peggio che in Colombia o Costa Rica, mentre Paesi con problemi demografici simili a quelli italiani, come Corea del Sud o Giappone, sono sopra il 60%. «La nostra è una scuola dei pochi e dei migliori – sostiene Billari – frutto dell’impostazione selettiva ed elitaria che la riforma Gentile del 1923 ha impresso al sistema. È un modello pensato in un altro scenario demografico, quando si riteneva di dover fare selezione, e non inclusivo per la maggioranza della popolazione. Non possiamo più permettercelo. Se ci sono pochi giovani, dobbiamo riuscire a portarli al livello più alto possibile, tutti quanti, ponendo l’attenzione sui più deboli, che spesso sono i nuovi italiani. Crescere ragazzi e lasciarli indietro è una bomba a orologeria».

Contro i bassi livelli di apprendimento e l’alta dispersione serve far studiare di più e più a lungo: il suggerimento è di elevare l’obbligo formativo pieno a 18 anni e prevedere un indirizzo comune superiore fino ai 16, come avviene nei Paesi in cui più studenti raggiungono la laurea, e non dover così prendere decisioni chiave per il futuro a 12-13 anni. Una visione inclusiva e ambiziosa, quella di Billari, che cita anche Barbiana: «Don Milani era attento alla necessità di alzare il livello complessivo delle competenze, e partiva dall’esame dei dati: Lettera a una professoressa, da questo punto di vista, può essere visto come un compendio di statistica». Più laureati, più campus universitari e meno studenti nelle “camerette” di casa, sostegni pubblici per l’autonomia residenziale, un sistema capace di attrarre giovani con alte qualifiche (gli universitari stranieri in Italia sono meno del 3%, la media Ocse supera il 10%).

L’immagine della “nave Italia” non è solo una suggestione, deriva dal grafico sulla popolazione per età, che ai tempi in cui natalità e mortalità erano entrambe elevate aveva la forma di una piramide, con tanti bambini alla base e pochi anziani al vertice, mentre oggi si è capovolta e assomiglia a una nave da crociera. Dove approderà domani dipende da come la si dirige oggi. «Essere giovani in Italia è difficile – avverte Billari –. All’estero le traiettorie di carriera sono veloci, i giovani italiani più dinamici non sono disposti ad aspettare che arrivi il loro turno, preferiscono andarsene dove le porte sono aperte. Se non affrontiamo il problema, a rimanere in Italia sarà chi non può permettersi di andarsene».


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