mercoledì 14 febbraio 2024
Sono 332 i «workers buyout» finanziati in 38 anni da Cfi, per 10mila posti di lavoro: è uno dei primi progetti unitari del movimento cooperativo
Da dipendenti a proprietari: l'impresa si rigenera grazie ai lavoratori
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In gergo tecnico si chiama workers buyout (wbo) ed è il salvataggio di un’impresa in crisi (ma anche senza successori) da parte dei lavoratori che subentrano nella proprietà e nella conduzione, quasi sempre organizzandosi in cooperativa e investendo risorse proprie, come l’indennità di disoccupazione e il Tfr. Con le “imprese rigenerate dai lavoratori” si preservano il sapere tecnico, le abilità professionali e le relazioni commerciali già esistenti e si può arrivare anche a uno sviluppo significativo del giro di affari, a fronte di un fallimento altrimenti già segnato. Nel 1986 Cfi-Cooperazione Finanza Impresa è nata a seguito dell’entrata in vigore della Legge Marcora e, in 38 anni, ha finanziato 332 workers buyout, per un totale di oltre 10mila posti di lavoro. È uno dei primi progetti unitari del movimento cooperativo italiano ed ha avuto, fin dalla nascita, anche l’adesione delle organizzazioni sindacali.
Nel 1996 l’apertura da parte della Commissione Europea di una procedura d’infrazione aveva bloccato l’operatività della legge: la mancata definizione delle modalità di rimborso dei capitali immessi nelle cooperative configurava gli interventi come “aiuti di Stato” non compatibili con le norme europee sulla concorrenza.

La legge di riforma, varata dal Parlamento nel 2001, ha recepito le intese raggiunte con la Commissione Europea e ha sviluppato ulteriormente le intuizioni originarie di Marcora, costruendo un modello di intervento più evoluto. Le risorse pubbliche vengono conferite dallo Stato a titolo di capitale sociale nelle società finanziarie. E ai lavoratori riuniti in cooperativa è stato attribuito – nel 2014 – il diritto alla prelazione nelle procedure che prevedono l’affitto o l’acquisto delle aziende o dei rami d’azienda di cui essi erano dipendenti. Oggi Cfi, vigilata dal ministero delle Imprese e del Made in Italy, principale socio in termini di capitale, è partecipata da 393 cooperative e dai fondi mutualistici di Confcooperative, Legacoop e Agci e, oltre ad un patrimonio netto di 102 milioni, gestisce un fondo pubblico rotativo la cui attuale dotazione supera gli 80 milioni. Con le sue risorse finanzia cooperative di lavoro e cooperative sociali, privilegiando le operazioni di workers buyout, attraverso interventi in capitale, debito, strumenti ibridi e finanziamenti agevolati. Utilizzando i fondi in modo rotativo, ha sostenuto 584 imprese cooperative di lavoro – e, a partire dal 2002, sociali – realizzando investimenti per complessivi 335,7 milioni di euro e contribuendo al mantenimento di 28.486 posti di lavoro. L’investimento medio per occupato è stato di 11.786 euro, l’equivalente di un anno di sussidio di disoccupazione. In questo caso, però, si è creato lavoro e continuità.

«La rigenerazione delle imprese da parte dei lavoratori – spiega Mauro Frangi, presidente Cfi-Cooperazione Finanza Impresa – non può essere la soluzione a tutte le crisi aziendali, ma ha dimostrato di funzionare bene, in contesti territoriali molto diversi, dal nord al sud, anche dove è molto difficile fare impresa. La legge aiuta lavoratori non solo dal punto di vista finanziario, ma fornisce anche strumenti per lo sviluppo delle competenze e la costruzione accurata del progetto industriale». Se si considera solo l’ultimo periodo, dal 2011 ad oggi, i wbo sono 93. Con un apporto di 49,3 milioni di euro, sono state instradate e assistite imprese cooperative che occupano oltre duemila lavoratori e arrivano a un valore della produzione consolidato superiore a 500 milioni di euro. In 12 anni, il ritorno per lo Stato, tra imposte dirette, imposte sul lavoro e contributi previdenziali, è stato superiore a 300 milioni di euro. E le aziende salvate hanno poi saputo andare avanti sul mercato, con competenza e autonomia: delle 93 imprese rigenerate dai lavoratori cui Cfi ha garantito supporto e sostegno nel periodo 2011-2023, solo 20 di esse (il 22%) ha successivamente interrotto l’attività. Tutte le altre continuano a lavorare.

Tra gli esempi più noti, in Piemonte c’è la Cartiera Pirinoli. Fondata nel 1872 da Gaspare Pirinoli a Roccavione, in provincia di Cuneo, l’azienda ha segnato la storia industriale italiana con l’introduzione di tecnologie innovative come la macchina continua per la produzione di carta. Passata alla famiglia Eva nel 1937, si è specializzata in cartoncino per astucci, diventando leader nel settore. Acquisita nel 2006 da Pkarton e trasformata poi in Società Cooperativa nel 2015, ha mantenuto un ruolo di primo piano nella produzione di cartoncino patinato da fibra riciclata. Oggi ha 96 addetti, è presente in tutti i mercati europei ed è specializzata nella produzione di cartoncino multistrato e monolucido per astucci pieghevoli e cartoncino per cartotecnica, per tubi e per interfalde, riciclabile al 100%. Lo stabilimento di Roccavione ha un potenziale produttivo di oltre 100mila tonnellate all’anno: il valore della produzione per il 2022 ha superato i 72 milioni di euro. Sempre in Piemonte, a Verbania, ma in tutt’altro ambito, c’è anche Archimedia Sistemi Società Cooperativa. Nata nei primi mesi del 2019 direttamente da un’operazione di workers buyout, dà continuità a oltre 25 anni di attività in qualità di Partner Sistemi.

Con un patrimonio netto di 250 mila euro e un valore della produzione che supera un milione di euro, l’azienda ha 400 clienti e offre tecnologie, servizi e soluzioni per l’organizzazione, la gestione e controllo delle imprese, ma anche dell’attività di professionisti. Spostandosi verso Brescia, invece, si trova l’azienda Nova Engines, emersa dalla crisi di Novarossi Srl. L’iniziativa di wbo, promossa alla fine del 2021 da una parte degli ex dipendenti, puntava al rilancio della fabbricazione di micromotori per modellismo, ambito in cui la precedente azienda si era distinta come leader. La complessità nel perfezionare il processo di produzione, insieme alla necessità di ingenti investimenti e all'intensificarsi degli sforzi per promuovere il prodotto prevalentemente sui mercati internazionali, avevano reso necessario un incremento delle risorse finanziarie. Nel 2023, l’emergenza è stata affrontata sia da parte dei soci lavoratori, con apporto di capitale e riduzione dei costi, sia da Cfi, che ha deliberato ulteriori risorse. L'obiettivo è raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2024. L’ultima operazione di rigenerazione di impresa da parte dei lavoratori è la ex Trafomec di Tavernelle, in Umbria. L’azienda metalmeccanica oggi si chiama Trafocoop ed è stata rilevata a dicembre, con il supporto di Cfi e altri soggetti, da 31 dipendenti, dopo il fallimento del 2022 da parte di un gruppo cinese.

In totale, Cfi ha chiuso il 2023 con 32 progetti approvati. Un impiego complessivo di 11,6 milioni di euro e 10 cooperative nate attraverso operazioni di workers buyout (di cui 9 finanziate da CFI nel corso dei precedenti esercizi). La sfida è ora soprattutto culturale. «È ancora necessario molto lavoro – conclude il presidente Frangi – per diffondere questa opportunità. Le organizzazioni cooperative hanno firmato un protocollo di intesa con i sindacati, ma i lavoratori e persino i professionisti della crisi di impresa ne sanno ancora troppo poco. Chiaramente trasformarsi da dipendenti a imprenditori di sé stessi implica una profonda modifica della mentalità: è un percorso che richiede disponibilità al cambiamento e voglia di affrontare le sfide. La coesione tra i soci e la costruzione della leadership influenzano in modo determinate il successo dell’impresa. Quando tutto funziona, si producono risultati decisamente sorprendenti».

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