domenica 12 novembre 2023
A Roma il convegno promosso dal Dicastero guidato dal cardinale: «I santi sono come fari che ricordano alla Chiesa intera la rotta da tenere. Prezioso il ruolo dei laici nel mondo»
La rappresentazione del Paradiso, nel Battistero del Duomo di Padova

La rappresentazione del Paradiso, nel Battistero del Duomo di Padova - undefined

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Diventare santi non è mai solo il risultato dell’impegno individuale, ma è apertura a un dono e poi frutto di un’intera comunità che accoglie Dio e diventa volto concreto del suo amore in ogni ambito della vita. È in quest’orizzonte che si pongono i lavori del Convegno sul tema «Dimensione comunitaria della santità» promosso dal Dicastero delle cause dei santi. L’appuntamento si terrà da lunedì 13 novembre a giovedì 16 al Pontificio Istituto Patristico Augustinianum a Roma.

«Con questo Convegno proseguiamo nell’iniziativa, già avviata lo scorso anno, di avere un momento in cui il Dicastero pone a un’attenzione più ampia, rispetto a quella degli “addetti ai lavori”, tematiche proprie del suo servizio nella Chiesa – spiega il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle cause dei santi –. Quella scelta per questo anno s’ispira a una frase pronunciata da papa Francesco nella catechesi del 19 novembre 2014: “Il cammino verso la santità non si percorre da soli, ognuno per conto proprio, ma si percorre insieme, in quell’unico corpo che è la Chiesa, amata e resa santa dal Signore Gesù Cristo”. Anche al numero 141 di Gaudete et exsultate il Papa ha scritto che «la santificazione è un cammino comunitario, da fare a due a due». In tale contesto, uno spazio privilegiato è senz’altro la famiglia e la vita di coppia: pensiamo ai santi Louis e Zélie Martin, i genitori di Teresa di Lisieux o alla famiglia Ulma, martiri beatificati in Polonia a settembre. Fa da sfondo l’insegnamento conciliare sulla vocazione universale alla santità del popolo di Dio. La santità, infatti, è essenzialmente comunitaria ed è un aspetto di quella comunione dei santi, che professiamo nel simbolo apostolico. Questo tema il nostro Convegno intende svilupparlo sotto il profilo biblico, teologico, spirituale e anche sociologico».

Il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle cause dei santi

Il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle cause dei santi - foto Siciliani

Eminenza, i santi non sono “supereroi” che si nutrono della propria eccezionalità ma vivono sempre “per” altro: che significato ha questo tipo di testimonianza oggi?
L’eroe, nel senso comune, è qualcuno che è dotato di eccezionali qualità e che con la sua abilità raggiunge i suoi obiettivi. Nella concezione cristiana, invece, la santità non è legata alle proprie forze, ma alla umile accoglienza del dono di Dio, che inizia nel Battesimo. Un dono che porta frutto se si è docili all’azione dello Spirito: è così che in noi cresce la vita stessa di Cristo, la quale, mettendo in moto la nostra libertà, ci trasforma. Jacques Maritain diceva che «non c’è personalità veramente perfetta che nei santi. Ma come? I santi si sono forse proposti di sviluppare la propria personalità? No. L’hanno trovata senza cercarla, perché non cercavano questa, ma Dio solo».

Oggi la Chiesa è ancora capace di indicare la santità come una meta desiderabile?
In una delle sue lettera san Paolo riconosce il suo tesoro egli lo possiede «in vasi di creta» (2Cor 4,7). Ugualmente sa di dovere dire la Chiesa. In Lumen gentium 8: «La Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento». I santi e le sante sono come fari che, luminosi della luce di Cristo, aiutano la barca della Chiesa a conservare la rotta. Che nonostante le sue fragilità la Chiesa conservi in sé il dono della santità possiamo riconoscerlo da due fatti: il primo è la presenza, oggi più di ieri, di tanti martiri (per l’Italia potrei fare il nome del beato Rosario Angelo Livatino); l’altro è l’indubbia presenza di quella che Francesco chiama la santità «della porta accanto» e che spesso sboccia imprevista sotto gli occhi di tutti (penso al beato Acutis).

E al suo interno la comunità dei credenti riesce ancora a vivere la tensione alla santità come motore per animare ogni singola realtà umana?
È stata appena celebrata una tappa del Sinodo dei vescovi e molto si è parlato dei compiti da affidare ai fedeli laici, donne e uomini, nella vita della Chiesa, anche proponendo forme nuove di ministeri istituiti accanto a quelli già presenti, come quello del catechista. È cosa davvero bella e positiva. C’è, però, un compito che non mi pare sia apparso molto, ma che il Vaticano II, a motivo dell’abituale loro impegno di lavoro e professionale, ricorda come privilegiato per i fedeli laici: essi sono «implicati in tutti i diversi doveri e lavori del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta proprio lì sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo esercitando il proprio ufficio sotto la guida dello spirito evangelico...» (Lumen gentium 31). Questi santi, la Chiesa li ha avuti e li ha ancora oggi. Almeno per lo spazio della politica, ad esempio, si potrebbero ricordare per l’Italia le figure di Alcide De Gasperi, Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati. Oggi, di queste figure, ce ne sono?

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