giovedì 28 marzo 2024
La rinuncia come educazione della volontà, le affinità col Ramadan. Parla padre Pérennès esperto di dialogo interreligioso: a volte è più facile non mangiare cioccolato che ridurre il tempo sui social
Il Mercoledì delle ceneri, che apre la Quaresima, è giorno di digiuno

Il Mercoledì delle ceneri, che apre la Quaresima, è giorno di digiuno - Vatican Media

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Negli ultimi tempi, almeno in Occidente, il digiuno compare spesso tra gli argomenti discussi da media tradizionali e social. In generale si mangia troppo e la rinuncia al cibo viene sempre più reclamizzata come strumento terapeutico o anche solo come aiuto per vincere il temutissimo esame estivo: la prova costume. Una prospettiva che cambia quando l’ambiente di riferimento diventa quello della fede. In tutte le grandi religioni, infatti, il digiuno è una forma di sacrificio, un’educazione alla volontà, uno strumento per sollecitare Dio a intervenire e per imparare a ricercare davvero la sua volontà. Il discorso diventa ancora più chiaro in Quaresima alla vigilia del Venerdì Santo, a maggior ragione in questo 2024 in cui il cammino di preparazione alla Pasqua coincide con il Ramadan islamico.

«Il digiuno è profondamente iscritto nella tradizione della Chiesa – spiega il domenicano francese padre Jean Jacques Pérennès, già direttore dell’Istituto domenicano di Studi Orientali al Cairo e della Scuola biblica e archeologica francese di Gerusalemme (École biblique et archeologique) –. Prima di iniziare la sua predicazione, Gesù trascorre quaranta giorni nel deserto “per essere tentato dal diavolo”, dice il Vangelo di Matteo, che aggiunge: “Digiunò per quaranta giorni e quaranta notti, dopo di che ebbe fame”. Vediamo che il digiuno è legato al combattimento spirituale: l’uomo carnale deve fare i conti con i suoi impulsi e imparare a gestirli, chiedendo al tempo stesso il soccorso della grazia. Nel momento della sua agonia nell’orto del Getsemani, Gesù si rivolge ai suoi discepoli che vede deboli di fronte alla prova che li attende: “Vegliate e pregate per non cadere in tentazione”. Questo collegamento tra digiuno e combattimento spirituale è sottolineato anche dai Padri del deserto e da grandi maestri spirituali come san Benedetto, san Francesco, santa Teresa d’Avila, ecc».

Cosa rappresenta il digiuno per il cristiano: educazione della volontà, ritorno all’essenziale?

Ci invita a prenderne coscienza delle nostre debolezze ma anche a scoprire che possiamo vivere benissimo in modo più semplice. E poi il digiuno non dovrebbe essere limitato alle questioni alimentari. Voglio dire che al corpo fa decisamente bene mangiare qualche volta di meno, limitare o addirittura eliminare l’alcol e ridurre le serate mondane ecc. Ma nella nostra società moderna invasa da media e social network non può che fare bene anche limitare o addirittura astenersi per alcune settimane da Facebook, TikTok, Instagram. Penso soprattutto alle persone per le quali i social sono diventati una vera e propria dipendenza. In questo modo si può ritrovare il gusto del silenzio, della lettura, di una passeggiata solitaria.

Padre Jean Jacques Pérennès

Padre Jean Jacques Pérennès - Immagine di archivio

Il digiuno però deve avere anche una dimensione comunitaria.

Certamente la Chiesa chiede il digiuno o l’astinenza in determinati giorni dell’anno (Mercoledì delle Ceneri, Venerdì Santo) o in specifiche occasioni, ma in una società secolarizzata dove la pratica cristiana è diventata minoritaria e marginale, il digiuno è innanzitutto una scelta personale, in cui ciascuno può capire quale sia una rinuncia davvero rilevante per lui. Spesso infatti è più facile privarsi del cioccolato che limitare il tempo trascorso su Internet.

Qual è la differenza tra il digiuno cristiano e quello islamico?

ll Ramadan ha una dimensione eminentemente comunitaria. Al Cairo, dove vivo attualmente, quasi tutti i musulmani digiunano e al momento della rottura del digiuno serale, si ferma ogni cosa: gli uffici amministrativi, i mezzi pubblici ecc. Ai musulmani piace molto questo mese di Ramadan che per loro diventa anche un tempo di festa, un’occasione per andare a visitare parenti, amici. Ma anche i cristiani copti, eredi della spiritualità dei Padri del deserto, praticano molto il digiuno e l’astinenza: durante molti giorni dell’anno si rinuncia completamente a carne, latticini, olio e vino. Questo avviene dal lunedì al venerdì limitandosi a un unico pasto al giorno, preferibilmente assunto la sera.

Il digiuno è uno dei pilastri dell’islam a ricordo della prima rivelazione del Corano a Maometto.

Il mese di Ramadan è, in effetti, uno dei cinque pilastri dell’islam, ma va associato ad altri due aspetti della religione islamica: l’elemosina e la preghiera. Durante questo mese molti si sforzano di rileggere l’intero Corano e li vediamo farlo in metropolitana o sull’autobus. Oltre alle cinque preghiere che tutti devono recitare quotidianamente durante il Ramadan nelle moschee si tengono delle specie di veglie, chiamate Tarawih. Partecipare non è obbligatorio ma i musulmani attribuiscono a queste preghiere un grande valore perché li aiutano ad acquisire disciplina, pazienza e perseveranza.

Ancora sul digiuno cristiano. A cosa deve accompagnarsi? A iniziative di carità?

Penso che spetti a ciascun cristiano capire come la Quaresima può aiutarlo a crescere spiritualmente magari dedicando più tempo alla preghiera, meditando la Sacra Scrittura, decidendo di visitare un ammalato. Tuttavia, rischiamo di togliere parecchio significato ed efficacia a questo tempo di preparazione alla Pasqua se manca uno sforzo concreto per vivere il digiuno o l’astinenza nel loro significato più autentico. Fare della Quaresima l’occasione per una cura dimagrante o un semplice contributo per salvare il pianeta non corrisponde all’invito fondamentale a vivere questo tempo anche come un combattimento spirituale. La Quaresima dovrebbe aiutarci a liberarci dalle nostre catene e quindi guidarci alla gioia. Gioia che, quando condivisa, può essere un elemento comune con i musulmani, anche se le due esperienze sono profondamente diverse e non vanno confuse. Semmai l’una può stimolare l’altra.



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