mercoledì 26 agosto 2015
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In questi giorni si è parlato molto del rapporto tra mafie e religiosità, in riferimento al funerale celebrato, il 20 agosto scorso nella parrocchia di San Giovanni Bosco in un popolare quartiere di Roma. Vi è una metafora che esprime molto bene la morfologia di una realtà, quantomeno, equivoca, per non dire omertosa. Mi riferisco al legame tra la 'cozza' e lo 'scoglio'.  In un Paese come il nostro, non si può e non si deve tacere di fronte a fenomeni di infiltrazione mafiosa in agenzie educative e di consenso dell’importanza delle nostre comunità parrocchiali. La posta in gioco è tale per cui occorre sempre e comunque sgomberare il campo dai sintomi di controllo del territorio, in presenza di organizzazioni malavitose. Qui non è in discussione la pietas cristiana nelle esequie di persone notoriamente estranee alla pratica religiosa, per di più se pubblici peccatori. Quanto piuttosto la mancanza di credibilità quando le apparenze non testimoniano a favore della competenza, né tanto meno della prudenza del giudicante, nella fattispecie il celebrante.  Pensare che gli organizzatori del 'funebre show' del Tuscolano, con lancio aereo di petali di rosa, fossero persone intemerate, con buona pace delle informative del parroco, francamente non mi convince. Mai come oggi è necessario confermare i fedeli nella sacrosanta sfera dei valori spesso vilipesa da abusi, corruzione e altre manchevolezze. Rosario Livatino, 'giudice-ragazzino', in uno dei suoi quaderni scrisse una frase che rappresenta la sintesi di un coinvolgente e assolutamente condivisibile modo d’intendere gli impegni quotidiani come cristiano, giudice e cittadino: «Quando moriremo, non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma credibili».  Parole non solo scritte con la penna, ma anche col sangue, fino al martirio. È questo che la comunità cristiana e la stessa società civile, nelle loro molteplici componenti, si aspetta dai ministri di Dio. Livatino fu sicuramente, un uomo di fede che intendeva vivere quotidianamente sub tutela Dei, come lui stesso annotava nella prima pagina di ogni sua agenda. Il messaggio di questo magistrato siciliano, di cui è in corso il processo di beatificazione, rappresenta per tutti noi un invito alla coerenza nelle nostra vita personale e in quella delle nostre comunità cristiane. Sant’Agostino, tanti secoli fa, affermava «le parole insegnano, gli esempi trascinano. Solo i fatti danno credibilità alle parole». E questo vale soprattutto quando occorre affermare il bene di fronte agli impenitenti.
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