venerdì 19 dicembre 2014
​Incalzato dalle domande di Monica Mondo il cardinale si apre, racconta di sé, della sua formazione “in una Chiesa estremamente radicata nelle famiglie nel tessuto sociale”, ma anche della fatica e della bellezza di essere pastore. VIDEO
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Incalzato dalle domande si apre, racconta di sé, della sua formazione “in una Chiesa estremamente radicata nelle famiglie nel tessuto sociale”, ma anche della fatica e della bellezza di essere pastore. E si confronta con il mondo moderno, la difficoltà e la sfida dell’annuncio in una società frammentata. L’arcivescovo di Genova e presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, ha accettato di affrontare microfono e telecamere di TV2000 per una conversazione a 360 gradi che andrà in onda a “Soul” sabato 20 dicembre alle 20.30 (canale 28 digitale terrestre). L’intervistatrice, Monica Mondo, lo ha incalzato sugli aspetti più variegati della sua vita e del suo lavoro nella vigna del Signore. Ne riprendiamo qualche stralcio.  “Essere vescovo – dice tra l’altro Bagnasco durante l’intervista - significa anzitutto essere padre dei propri sacerdoti: questo è assolutamente prioritario. Perché tra sacerdoti e vescovo non c’è un legame tanto di simpatia, empatia, o affettivo, ma soprattutto sacramentale, il vincolo che Cristo stesso ha istituito. D’altra parte ogni sacerdote se non sente la paternità del vescovo è come un orfano”. Ma anche ricordato il richiamo di Papa Francesco “di fare di tutto affinché la vicinanza con i propri sacerdoti innanzitutto e con la gente, quindi il popolo di Dio sia sempre più avvertita”. Certo non è facile e richiede tempo, come mostra lo stesso Bagnasco che dice: “ho finito adesso la mia visita pastorale, quindi ho visitato le parrocchie della mia diocesi, e ho impiegato sei anni…e devo dire che è stata una grazia eccezionale, perché questo senso di vicinanza la gente lo sente!” Bagnasco ha anche un’esperienza di insegnante, italiano in seminario. E di fronte a una classe scalmanata di ragazzi delle superiori non avrebbe dubbi: “Aprirei con un testo di Albert Camus, Il mito di Sisifo, dove all’inizio pone la questione in questi termini: ‘L’unico problema reale a cui la filosofia deve rispondere, tutto il resto non conta, è se valga o meno la pena di vivere’. Capisco che sarebbe, è un pugno nello stomaco, ma credo supererebbe l’attenzione ai telefonini!” Poi il mondo del lavoro. Come vescovo di Genova ci si è confrontato molto. “Il mondo operaio, il mondo del lavoro, ha capito ormai da moltissimo tempo che la Chiesa non è per una parte, non sceglie una parte, un partito, ma cerca, sceglie il bene di tutti parlando con tutti, senza altri interessi; e questo fonda la credibilità e la stima del mondo operaio verso la chiesa: giustizia, i diritti, i doveri, certo non la violenza”. Violenza che va ripudiata anche nel rapporto tra Stati e non solo. “In questo senso - afferma Bagnasco – il magistero della Chiesa, cito Giovanni Paolo II e attualmente Papa Francesco, ha sempre avuto un criterio molto chiaro, che la via della diplomazia e del dialogo è la via privilegiata per risolvere i conflitti, di qualunque natura essi siano. Questa è la via che la Chiesa ha maturato sempre più come via regale, perché la violenza provoca violenza, la storia ormai ce lo insegna”. E in questo contesto il cardinale ricorda il suo recente viaggio in Palestina: “Sono stato recentemente a Gaza, ho visto la devastazione e mi sono detto: queste macerie si farà presto a tirarle via per ricostruire, ma le macerie dell’anima, rancori, risentimenti, sofferenze, ricordi tragici sarà molto più difficile. Ecco, in questo senso violenza genera violenza, esterna e interiore. Quindi la via del dialogo, delle diplomazie è sempre quella da percorrere”.
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