giovedì 25 aprile 2024
Il capo della diplomazia Usa in visita nel gigante asiatico fa appelli alla moderazione. Ma, oltre il politichese, i rapporti tra le due superpotenze non sono stati mai così tesi
Dai dazi a Taiwan, passando per l'Ucraina: tutti i fronti aperti tra Cina e Usa

Dai dazi a Taiwan, passando per l'Ucraina: tutti i fronti aperti tra Cina e Usa - ANSA

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Sorrisi e coltelli. L’ovattata liaison tra il presidente cinese Xi Jinping e quello americano Joe Biden – che lo scorso novembre “cinguettavano” passeggiando tra i viali alberati di San Francisco – sembra già un nebbioso ricordo. Una manciata di mesi dopo, il capo della diplomazia a stelle e strisce Antony Blinken è tornato (per la seconda volta in meno di un anno e dopo la recente visita del segretario del Segretario al Tesoro, Janet Yellen) in Cina e da Shanghai ha parlato nuovamente in politichese, invitando Stati Uniti e Cina a gestire le loro differenze "responsabilmente": «Abbiamo l'obbligo – ha detto nei confronti del nostro popolo, e anzi nei confronti del mondo, di gestire le relazioni tra i nostri due Paesi in modo responsabile». Ma dietro, oltre il velo delle dichiarazioni di circostanza, si affollano una serie di dossier pesantissimi che rendono, come mai prima, complicata la gestione dei rapporti tra le due superpotenze. La tre giorni di Blinken - che è sbarcato a Pechino oggi e vedrà il ministro degli Esteri Wang Yi e probabilmente anche il presidente Xi Jinping - rischia di trasformarsi per la Cina in una sfilza irritante di ammonimenti. Alcuni espliciti, altri sottintesi. Primo: la questione Ucraina e i rapporti con la Russia, quella “amicizia senza limiti" che un Putin in cerca di appoggi si affrettò a proclamare prima dell’avvio delle operazioni militari. Il segretario di Stato Usa arriva con un messaggio netto: l'assistenza alla produzione militare russa porterà a inevitabili sanzioni. Non solo: gli Usa vogliono che Pechino chiuda con le esportazioni in Russia in particolare dei microchip, che alimenterebbero la macchina bellica di Mosca.

Antony Blinken (al centro) in vista al Bund di Shanghai

Antony Blinken (al centro) in vista al Bund di Shanghai - ANSA

Il secondo avvertimento è contenuto nel maxi-pacchetto da 95 miliardi di dollari stanziato dagli Usa. La polpetta avvelenata per Pechino sono gli 8 miliardi in aiuti militari a Taiwan. Anche qui il messaggio è facile da decifrare: gli Usa non intendono “mollare” Taipei. Terzo fronte: la legge di cessione della popolare app TikTok dalla società madre cinese ByteDance, pena il bando dal mercato Usa in cui conta 127 milioni di utenti. Un attacco a quel soft power che Pechino sta faticosamente cercando di costruire. Altro messaggio: i dazi. In particolare, gli Usa vogliono triplicare le misure protettive sull’acciaio. Il motivo è presto detto: la Cina produce più di 10 volte la quantità di acciaio del rivale a stelle e strisce. E se non bastasse, i toni si sono accesi anche con l’Europa che, tra arresti di presunte spie cinesi, ha avviato l’indagine sui dispositivi medici made in China, aprendo così l’ennesimo fronte.

Biden e Xi lo scorso novembre a San Francisco

Biden e Xi lo scorso novembre a San Francisco - ANSA


La partita è a tutto campo E si intreccia a un motivo di fondo: la competizione sul piano militare. Oggi, come scrive Asia Times, “gli Stati Uniti sono la seconda economia manifatturiera più grande del mondo e la loro produzione annua di 2,5 trilioni di dollari supera l’intera economia di tutti i Paesi tranne sette”. Quello “dei metalli vecchio stile” è, però, uno dei settori sguarniti dell’America. “Nella costruzione navale, gli Stati Uniti sono una nullità. Secondo l’US Naval Institute, la Cina detiene quasi il 47% del mercato globale, la Corea del Sud è seconda con il 29% e il Giappone è terzo con il 17%. Gli Stati Uniti hanno meno dell’1%”. Dunque è ora per gli Usa di recuperare il terreno perduto.
Vista da Pechino, la percezione è quella di "un doppio accerchiamento: militare e commerciale, perché la mossa inattesa è l'apertura plateale dello scontro commerciale con l'Europa", ha commentato una fonte diplomatica europea nella capitale cinese.
Già Yellen aveva tuonato contro la Cina per i suoi problemi di “eccesso di capacità produttiva” che hanno portato le merci cinesi a basso costo ad inondare il mercato statunitense, omettendo di citare però la corsa sfrenata alla delocalizzazione che ha impegnato per decenni tutte le economie occidentali. Il risultato? Come scrive la Bbc, il gigante asiatico «è irritato». E legge il lavoro ai suoi fianchi «come parte dei tentativi di Washington di contenerla economicamente e accerchiarla geopoliticamente».

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