sabato 4 maggio 2024
Netanyahu concede 7 giorni per l’intesa, altrimenti l’attacco a Rafah. La delegazione di Hamas è al Cairo. Proteste dagli Usa al Canada, Bernie Sanders: «Sto con gli studenti»
Il Cairo: «Accordo vicino». Dagli Usa all'Europa la rivolta degli atenei

REUTERS

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Sullo scacchiere dello scontro tra Hamas e Israele, le mosse sono lente e calcolate. La prossima spetta ad Hamas, in reazione alla proposta del mediatore egiziano di tre settimane di tregua in cambio del rilascio dei primi venti ostaggi, seguite da altre dieci settimane per la liberazione di tutti i rapiti. E potrebbe arrivare nelle prossime ore. Lo scrivono il quotidiano palestinese al-Quds e il saudita Asharq, rilanciati dai media israeliani. L'emittente egiziana al-Qahera News, legata ai servizi segreti, annuncia «progressi significativi nei negoziati». Una fonte anonima di Hamas afferma che il gruppo accetterebbe la prima fase, senza il ritiro delle truppe israeliane, forte della pressione che potrà esercitare tenendo ancora in mano diversi ostaggi vivi.

Ieri il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, è rientrato a Doha, dopo 14 giorni in Turchia. Ma non è detto che ci resti per molto: il Qatar sarebbe pronto ad accettare la richiesta degli Stati Uniti di espellere la leadership di Hamas al più presto. Lo ha detto una fonte americana al Times of Israel. Il leader del gruppo nella Striscia di Gaza, Yahya Sinwar, avrebbe messo questi paletti all'intesa: la garanzia della fine dei combattimenti, il ritorno in Cisgiordania dei detenuti che verrebbero scarcerati compresi gli ergastolani (Israele vorrebbe mandarli all’estero o a Gaza) e dettagli sui materiali che Tel Aviv vieterebbe di introdurre per la ricostruzione.

Da parte del governo di Benjamin Netanyahu, scrive il libanese al-Akhbar, sarebbe stato assicurato all’Egitto che l’operazione militare su Rafah, dove si ammassano 1,3 milioni di palestinesi, è rinviata «almeno fino alla fine della prossima settimana». Poi la conferma: il governo di Tel Aviv ha notificato ad Hamas che se non ci sarà un accordo entro 7 giorni, comincerà l’operazione a Rafah. E ieri sera, altro segnale, il direttore della Cia William Burns, è giunto per colloqui al Cairo. Dove stamani è arrivata la delegazione di Hamas. Per il segretario di Stato americano Antony Blinken «Hamas è l'unico ostacolo al cessate il fuoco a Gaza». D'altra parte, ha avvertito Blinken, «un attacco israeliano a Rafah», la città nel sud della Striscia di Gaza dove sono ammassati più di un milione di palestinesi sfollati a causa della guerra, causerebbe danni «oltre l'accettabile».

L’Oms ha annunciato un piano d’emergenza da attuare nel caso di un’offensiva. «L’operazione militare porterà a una nuova ondata di sfollati, maggiore sovraffollamento, minore accesso al cibo, all’acqua e ai servizi igienico-sanitari», denuncia. E chiede che «qualunque cosa accada, resti aperto il valico di Rafah per consentire l’ingresso degli aiuti umanitari».

Mentre sullo scacchiere internazionale ci si misura con studiata cautela, sul terreno piovono bombe e muoiono bambini. Nella notte tra giovedì e venerdì un raid su una casa nel nord di Rafah ha provocato sette vittime, tra cui quattro minori. Al-Jazeera riferisce di un «costante intenso bombardamento di artiglieria» nel centro della Striscia e in alcune zone a nord di Gaza City. Anche nella parte orientale di Rafah si è registrato «un aumento degli attacchi aerei e dei bombardamenti di artiglieria». Notizie di morte anche da Israele: il kibbutz Be’eri ha annunciato che il suo cittadino Dror Or, 49 anni, finora conteggiato tra i rapiti, fu ucciso nell’attacco del 7 ottobre e il suo corpo è trattenuto a Gaza. È invece stato identificato in Israele il corpo di Elyakim Libman, creduto rapito. Nelle carceri israeliane è morto Adnan al-Bursh, primario di ortopedia all’ospedale al-Shifa di Gaza City, arrestato quattro mesi fa all’ospedale al-Awada dove era in servizio temporaneamente. Il decesso è avvenuto a metà aprile nel penitenziario di Ofer. Per il ministero di Hamas, il bilancio delle vittime è salito a 34.622. Almeno un centinaio sono giornalisti. Nella Giornata mondiale della libertà di stampa Biden ha osservato che a Gaza «sono stati uccisi troppi giornalisti, in gran parte palestinesi». Proprio ai giornalisti palestinesi l’Unesco ha assegnato il premio mondiale per la libertà di stampa.

Violenze anche in Cisgiordania, questa volta tra israeliani. Una ventina di coloni ha attaccato dei soldati vicino a Giv’at Asaf: feriti due militari. Nei giorni scorsi erano stati fermati cinque coloni sospettati di violenze contro i palestinesi, uccidendo una persona, dopo il ritrovamento del cadavere del 14enne Benjamin Achimeir. Arrestato un colono di Beit El. Dopo Usa e Ue, anche Londra ha adottato sanzioni contro i violenti. E ha esortato Tel Aviv a «un giro di vite» sui «coloni che minano sicurezza, stabilità e minacciano le prospettive di pace».

Nelle lotte fra le contrapposte leadership, s’inseriscono le indiscrezioni sulla ricandidatura di Netanyahu alle prossime elezioni, in data da stabilire. Secondo il Times of Israel, il premier punterebbe a intestarsi un’intesa per il ritorno a casa degli ostaggi mettendo a tacere i critici. «Siamo determinati a riportare a casa tutti i rapiti – ha dichiarato –. Ne abbiamo già riportati indietro la metà. Non dimenticheremo nessuno».

Proteste negli atenei. Negli Usa, Sanders: «Sto con gli studenti»

di Daniele Zappalà

Dopo l’innesco negli Stati Uniti a metà aprile, sta attecchendo in profondità pure in Europa l’ondata di proteste universitarie in segno di solidarietà verso i civili palestinesi e per la fine dell’offensiva israeliana. Un’onda di ritorno. Ieri, la Francia ha conosciuto nuovi focolai, a Parigi e negli atenei di tanti grandi capoluoghi, sullo sfondo pure della ruvida campagna elettorale per le Europee.

In mattinata, nel cuore della capitale, gli agenti hanno sgomberato una cinquantina di studenti che occupavano la sede centrale di Sciences-Po, la ‘fucina’ dei vertici politici, già frequentata tanto dal presidente Emmanuel Macron, quanto dal suo premier Gabriel Attal. E proprio quest’ultimo ha promesso nelle ultime ore che la fermezza «resterà totale» contro le occupazioni, per permettere il proseguimento dei corsi. Per Sciences-Po, si è trattato del secondo sgombero. Ma hanno vissuto uno scenario analogo ieri i manifestanti della facoltà di Scienze politiche di Lione. In altre città, come Lilla, diversi atenei sono stati chiusi. Nella Svizzera francofona, si è invece protestato a Losanna.

Oltreatlantico, dove un gruppo di studenti a Princeton ha cominciato uno sciopero della fame, il principale sgombero è avvenuto alla Ucla di Los Angeles, dove gli agenti hanno fermato circa 200 protestatari, con un bilancio totale già di oltre 2mila arresti nelle ultime 2 settimane. Per il presidente Joe Biden, «deve prevalere l’ordine».

Ma il senatore Bernie Sanders, della sinistra democratica, si schiera apertamente con gli studenti: «Nel 1962 - scrive su X - organizzammo sit-in per porre fine alle politiche razziste all'Università di Chicago. Nel '63 fui arrestato mentre protestavo contro la segregazione scolastica. Ma avevamo ragione. Sono orgoglioso di vedere gli studenti protestare contro la guerra a Gaza. Restate pacifici e focalizzati. Siete dalla parte giusta della storia».

All'università del Vermont è stato cancellato, a causa delle proteste, il discorso dell'ambasciatrice americano all'Onu, Linda Thomas-Greenfield, alla cerimonia di consegna dei diplomi.

Le proteste sono divampate anche nel vicino Canada, da una costa all’altra, interessando ad esempio i campus di Toronto e della British Columbia.

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