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L'errore di Trump e le vere colpe dei social

Gigio Rancilio venerdì 29 maggio 2020

È giusto che i social censurino le opinioni degli utenti? La domanda non è nuova, ma è tornata di potente attualità dopo le accuse che il presidente Trump ha fatto a Twitter.

Cosa ha fatto di tanto grave il social dei micro messaggi? Ha aggiunto una scritta e un link a un tweet del presidente, offrendo alle persone una pagina di approfondimento dove in sostanza veniva smontata la tesi sostenuta da Trump. Uno dei problemi che abbiamo quando trattiamo di censura è che siamo sempre condizionati dal fatto se abbia colpito una persona o un'idea che ci sta a cuore oppure un nostro antagonista o un'idea che non sopportiamo.

Nel caso di Trump, poi, a volere essere pignoli, non si è trattato di censura. Twitter infatti non l'ha censurato. Ma ha aggiunto elementi "di chiarezza" che hanno sbugiardato la tesi del presidente. Ma è vero – altra accusa di Trump – che i social in America sono schierati contro di lui? Per considerarlo del tutto vero, dovremmo ritenere le manipolazioni di Cambridge Analytica su Facebook e quelle degli hacker russi che avrebbero contribuito all'ultima vittoria di Trump, come un "incidente passato" e senza gran valore. Su un punto il presidente ha probabilmente ragione. Il mondo digitale (e quello dei media) è generalmente più orientato verso i liberal. Ma, come la storia insegna, si possono vincere le elezioni anche senza l'apporto della maggioranza dei media. Il problema però è un altro: ha senso che uno degli uomini più potenti del mondo faccia guerra ai social, del quale peraltro si è ampiamente servito in questi anni per veicolare le sue idee?

Per capire meglio il punto dobbiamo spersonalizzarlo. E chiederci: dopo che per anni abbiamo invocato un maggiore controllo da parte dei gestori dei social sui contenuti postati, siamo sicuri che la strada per migliorare la vita di tutti sia combatterli quando prendono decisioni che non ci piacciono?

Mi sbaglierò, ma il fatto che Twitter, Facebook, Instagram, Tik Tok, Twitch, YouTube o perfino di WhatsApp e Telegram pendano da una parte politica piuttosto che da un'altra non solo non è così facile da dimostrare, ma tutto sommato è meno importante che pretendere da tutti loro di essere finalmente trasparenti a beneficio di qualunque parte. Come? Per esempio, spiegando a tutti noi, con chiarezza estrema, come funziona la loro censura. Certo, per ognuno dei social esistono "linee guida della comunità" e regole che ognuno sottoscrive per accedervi, spesso senza averle nemmeno lette. Ma, anche dopo averle lette, ciò che resta nell'utente medio (cioè in me e in te) è la sensazione che nascondano un mare di ambiguità. E che dire di tutte le volte che una pagina o un profilo di un personaggio più o meno pubblico viene bloccato o un post o un video rimosso? Il punto non è se Facebook e gli altri social abbiano il diritto di farlo, ma che dovrebbero essere obbligati a motivare con estrema chiarezza e precisione le ragioni che li hanno spinti a farlo. Se ci pensiamo bene, lo strapotere più grande dei giganti digitali è proprio questo: non prendersi quasi mai la responsabilità di essere chiari fino in fondo.

Per questo Trump, scendendo in guerra contro Twitter, ha perso una gigantesca occasione per comportarsi da politico e non da uomo della strada che vuole solo vendicarsi. Doveva farsi promotore (e visto che non l'ha fatto, potrebbe farlo l'Europa) di una campagna mondiale per chiedere ai social di essere finalmente completamente trasparenti.
Non pretendiamo che svelino i loro algoritmi (costati anni e miliardi), ma dobbiamo pretendere che spieghino a tutti noi almeno come funziona la loro censura. E obbligarli a motivare ogni azione che compiono. Solo così faremo un passo avanti verso un'Internet migliore.