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Lo sciopero della fame della prigioniera Loujain

Antonella Mariani giovedì 3 settembre 2020

Il 31 luglio ha compiuto 31 anni in un carcere di Riad, in Arabia Saudita. Finalmente lunedì i suoi genitori hanno potuto vederla, scoprendo che Loujain ha iniziato uno sciopero della fame perché da giugno le era stato negato il consueto contatto con la famiglia. Le sue condizioni di salute «si sono deteriorate», ha scritto la sorella Lina su Twitter, e il pensiero non può che correre alla tragica vicenda dell'attivista turca Ebru Timtik, morta in un carcere di Istanbul il 27 agosto dopo 238 giorni senza nutrirsi.

Loujain al Hathloul è una giovane, bellissima donna saudita, con profondi occhi scuri e un sorriso dolce e quieto. Sta pagando con gli anni migliori della sua vita la lotta ingaggiata contro le norme che nell'Arabia Saudita del 21esimo secolo impediscono alle donne di avere il ruolo che spetta loro nella società. Contro il divieto di guidare un'automobile, contro il sistema del tutoraggio maschile che non consente di viaggiare o sposarsi senza il permesso di un uomo.

Loujain al Hathloul - (Amnesty)

Loujain ha iniziato a farsi domande da bambina e quelle domande sono diventate azione al suo ritorno dagli studi universitari in Canada. Dal 2014 ha animato il movimento Women to drive e si è letteralmente messa al volante, attraversando provocatoriamente il confine tra gli Emirati Arabi Uniti, dove lavorava e viveva, e l'Arabia. Nel 2015 si era candidata alle elezioni, quando per la prima volta la monarchia saudita aveva concesso alle donne l'elettorato attivo e passivo, ma il suo nome non era mai stato aggiunto alle liste elettorali.

Arrestata una prima volta nel 2014 per essersi messa alla guida, fu rilasciata dopo 73 giorni. Nel 2018 è andata peggio: dopo un arresto e il rilascio all'inizio dell'anno, il 15 maggio gli agenti hanno fatto irruzione nella casa di famiglia di Riad e l'hanno portata via. Da allora ha cambiato tre carceri, le imputazioni sono vaghe e fanno riferimento al suo attivismo per i diritti delle donne e il processo, dopo vari rinvii, è stato sospeso a causa della pandemia.

Loujain al Hathloul - Wikicommons

La sorella minore Lina, espatriata in Belgio, accetta di parlare al telefono con Avvenire, attraverso una linea di comunicazione protetta. «I miei genitori hanno la certezza che Loujain durante le detenzione è stata torturata. Una volta riusciva a malapena a camminare. Un'altra volta riusciva a stento sedersi. Sappiamo che hanno minacciato di violentarla e di far sparire il suo corpo», come è accaduto con il giornalista Jamal Kashoggi due anni fa.

«Nell'ultima conversazione con loro ha detto che comincia a perdere la speranza e di non aspettarsi niente di buono per il futuro». I suoi difensori sono i genitori, perché, spiega Lina «nessun avvocato ha voluto prendere le sue difese e quello che le era stato assegnato sosteneva di poter garantirle la liberazione se avesse negato pubblicamente di aver subito torture e minacce sessuali. Lei ha rifiutato». Il paradosso è che Loujain è in carcere da oltre due anni per aver commesso un reato… che non è più reato. Dall'agosto 2019 è caduto il divieto di viaggio per le donne, grazie a un provvedimento del principe ereditario Mohamed bin Salman (Mbs), così come si è allentato il sistema del "tutoraggio" maschile. «Senza proteste come quella di Loujain non ci sarebbero state aperture», dice Lina, ma in ogni caso è difficile parlare di una vera svolta in Arabia Saudita. I prigionieri di coscienza come Luojain, infatti, continuano a restare in carcere proprio mentre imperversa il Covid. Due dissidenti, l'avvocato Abdullah Al-Hamid e il giornalista Saleh Al-Shehi, sono morti nei mesi scorsi a causa dell'epidemia.

Per lei e per le altre compagne in carcere sta lottando Amnesty international che ha promosso una nuova raccolta firme. La candidatura al Nobel per la pace, nel 2019, purtroppo non è stata risolutiva. L'Arabia Saudita è un partner commerciale troppo importante perché l'Occidente alzi la voce per gli oppositori. «No, dall'Unione Europea non mi aspetto nulla», conclude amaramente la sorella minore Lina. Ma né lei né la famiglia – promette – smetteranno di lottare per Loujain.