Opinioni

Non profit. L'autogol (evitato) sull'Ires del governo: far bene il bene non è peccato

Leonardo Becchetti venerdì 28 dicembre 2018

Il raddoppio dell’Imposta sul reddito delle società (Ires) per le organizzazioni non profit inserito dal Governo gialloverde nella Manovra 2019 si sta rivelando un autogol politico (consapevole o inconsapevole) piuttosto grave a cui si è annunciato proprio ieri di voler porre rimedio dopo che si era fatta largo dell’opinione pubblica la consapevolezza del danno provocato. Con questa decisione avventata, che si calcola porterebbe nelle casse dello Stato appena 118 milioni di euro (neanche lo 0,01% del Pil), il Governo – come aveva immediatamente segnalato "Avvenire" – si era di fatto messo contro un settore che offre alla popolazione servizi per miliardi di euro e che, secondo i dati Istat, in Italia conta 343.432 organizzazioni senza fini di lucro, 812.706 dipendenti e raccoglie il lavoro di circa 5 milioni e mezzo di volontari. Per un Governo che si propone di ridurre le tasse agli italiani e ha annunciato di aver abolito la povertà (o di essere sul punto di abolirla) iniziare col raddoppiare le tasse a quella parte consistente di cittadini (ed elettori) che la povertà la combatte ogni giorno è opera non da poco.

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Le poche voci critiche contro la sana rivolta che sui giornali e sui social si è, poco a poco, sollevata contro questo provvedimento iniquo hanno fatto un ragionamento che sembrerebbe logico: se un’organizzazione fa degli utili allora non è «senza scopi di lucro» e quindi sarebbe giusto tassarla. Un’obiezione di questo tipo nasconde una profonda ignoranza su cosa sia il non profit ed è dunque opportuno e utile ricordarlo all’opinione pubblica in un momento come questo in cui la sua attenzione si sofferma sul settore in questione. Non profit non vuol dire che le organizzazioni che ne fanno parte non possono gestire bene la loro attività arrivando ad avere una differenza positiva tra ricavi e costi (l’utile).

Vuol dire che per legge l’utile deve essere reinvestito nella missione sociale dell’organizzazione e non può essere distribuito a chi ha apportato capitale nell’organizzazione. Per riprendere un esempio citato in questi giorni, quando l’Anpas – che si occupa di pubblica assistenza – fa utili li usa per acquistare ambulanze e gruppi elettrogeni necessari per le proprie attività di assistenza e di protezione civile. Questo comportamento virtuoso obbligato per legge stride con la cattiva abitudine di una parte (non tutta!) del mondo profit che invece realizza utili esorbitanti e li usa in toto per aumentare i bonus ai top manager, distribuire dividendi agli azionisti decidendo poi, per accrescere ancor più gli utili di licenziare i dipendenti, per delocalizzare ed andare a produrre dove il lavoro costa meno. Il trattamento fiscale di favore per le organizzazioni senza scopo di lucro ha dunque tre ragioni.

Primo, premia chi usa gli utili per finalità sociali, aiutando lo Stato a raggiungere i propri scopi in un’ottica di sussidiarietà.

Secondo, aiuta a finanziare le proprie attività, con gli utili reinvestiti, chi ha più difficoltà a raccogliere capitale proprio per il fatto che non remunera gli azionisti.

C’è, poi, un terzo punto che è persino più importante dei precedenti. Come recita l’art. 3 della Costituzione, «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Gli studi sulle determinanti di soddisfazione e senso della vita su milioni di dati in tutto il mondo ci dicono che la felicità privata e pubblica dipendono dal rendersi generativi e utili. Quindi la Repubblica italiana rimuove gli ostacoli alla realizzazione della persona se si riconosce che la Repubblica italiana sono anche i cittadini e le loro organizzazioni, che si rimboccano le mani e non solo qualche remoto potere centrale la cui efficienza è importante, ma a volte tutta da definire.

Il valore delle organizzazioni non a scopo di lucro dunque non sta solo nel servizio che esse rendono con una prestazione di ore di lavoro volontario – il cui valore a prezzi di mercato corrisponde a più di 8 miliardi di euro –, ma sta anche nel contributo fondamentale che offrono al senso e alla realizzazione di vita dei cittadini.

Un governo ambizioso che vuole «abolire la povertà» deve assolutamente evitare l’autogol di abolire, o anche solo indebolire, chi la contrasta efficacemente contribuendo alla felicità privata e pubblica del Paese. E deve avere l’intelligenza di capire che essendo levatore delle energie della società civile può realizzare i propri lodevoli obiettivi evitando lo sforzo titanico e impossibile di fare tutto da solo.