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Yemen. «Io, medico sotto le bombe, ho scelto di restare»

Francesca Ghirardelli mercoledì 22 febbraio 2017

La dottoressa Ashwaq Muharram cura un piccolo ferito

Sono sempre più tormentate e brevi le notti della dottoressa Ashwaq Muharram: dall’intensificarsi del conflitto in Yemen nel marzo del 2015 «non si dorme più. Ho 41 anni e me ne sento 60», ci dice, quando per la terza volta consecutiva la troviamo online alle 4 del mattino. «Non appena sento il rumore degli aerei e dei bombardamenti mi sveglio e non posso fare altro che alzarmi». Vive e lavora nella città di Hudaidah, porto sul Mar Rosso controllato dagli Houthi, i ribelli sciiti fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh e vicini all’Iran. Nel 2014, hanno occupato ampia parte del paese provocando l’intervento dell’Arabia Saudita che sostiene il successore Abd Rabbuh Mansur Hadi. Dall’inizio del conflitto, i morti sono stati 10mila.

Contro Hudaidah, prima della guerra principale punto d’ingresso delle importazioni alimentari, ora sottoposto al blocco dei traffici, negli ultimi giorni la coalizione guidata dai sauditi ha intensificato gli attacchi. «Siamo esausti», ripete la dottoressa Muharram che è vice direttore del distretto sanitario della città. Eppure non smette di lavorare, gira per i villaggi con un’ostetrica e cinque operatori, visita pazienti, si carica in auto i casi più gravi e li trasporta in ospedale: «Nell’ultima settimana, però, non abbiamo potuto lasciare i quartieri urbani a causa dei bombardamenti. Nel Paese molte strutture sanitarie sono andate distrutte, colpite dagli attacchi aerei, altre sono chiuse per mancanza di elettricità, equipaggiamento e medicinali». Per dieci anni la dottoressa ha lavorato fra le fasce più povere, ha trattato casi di malnutrizione, «ma con questo conflitto abbiamo scoperto per la prima volta la fame autentica, l’inedia».

Proprio nelle ore in cui la intervistiamo, Fao, Unicef e Programma alimentare mondiale (Pam) diffondono una nota congiunta con una stima della crisi: in Yemen 17 milioni di persone, due terzi della popolazione, faticherebbero a reperire il cibo. Di queste, 7,3 milioni necessitano di assistenza alimentare d’emergenza. «L’attuale livello raggiunto dalla fame in Yemen è inedito », denuncia Stephen Anderson, direttore Pam nel Paese.

Per mostrarci cosa provochi davvero la parola «fame», la dottoressa ci invia attraverso WhatsApp la foto di Salim: è un bambino scheletrico, con la pelle raggrinzita, ripiegata sull’addome vuoto. In un’altra immagine è ritratto dopo le cure, il viso e il corpo con forme quasi normali. Di Abdulrahman, paziente di un anno e 9 mesi, racconta: «Non riusciva a muoversi, né a stare seduto: per un’intolleranza, aveva bisogno di un latte artificiale particolare, non più acquistabile in Yemen a causa del blocco delle importazioni. Per fortuna sono riuscita a farmelo mandare dall’estero». Nel Paese non manca solo il cibo. «Siamo rimasti senza scorte di farmaci, compresi quelli per patologie croniche, per la dialisi, contro il cancro, né si trovano più medici specialisti, se ne sono andati».

Per questa ragione, anche i famigliari della dottoressa sono partiti: «Mia sorella ha un tumore: impossibile reperire le cure qui, si è trasferita in Giordania. Lo stesso ha fatto mio marito che è cardiopatico: dopo un’operazione è rientrato in Yemen perché restare laggiù sarebbe stato troppo costoso. Qui però non può ricevere cure adeguate, così quando di sera si addormenta ho paura che non si risvegli più. Sono preoccupata, ma sono una donna forte», ci scrive online nel cuore della notte. «Posso sopportare anche questo».