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Ucraina. Sasha, fuggito dall’inferno a 12 anni. È la sua storia che ora inchioda lo zar

Nello Scavo sabato 18 marzo 2023

I due "ricercati": il presidente Vladimir Putin e Maria Lvova-Belova, commissario presidenziale per i diritti dell’infanzia della Russia

Sasha non ha ancora 12 anni. È lui ad aver abbattuto il mito dell’incrollabile zar che cavalca gli orsi e invece ruba i bambini. È tornato a casa, Sasha. Beffandosi degli sgherri del Cremlino. Gli hanno portato via la mamma, ma neanche Davide si era arreso a Golia. E la sua storia è l’atto d’accusa contro Vladimir Putin.

Guz, Sasha, Anna-Maria. Il più piccolo non ha tre anni, il più grande quasi dodici. Sono alcuni dei 16mila nomi di piccoli “desaparecidos” ucraini. Non sono semplicemente “spariti”. Per dirla con un investigatore dell’Aja: «Sono stati fatti sparire». La differenza è tutta qui. E Vladimir Putin lo sa, al punto da aver firmato i decreti che autorizzano a separare madri dai figli, per rendere adottabili i bambini e intanto «rieducare» gli scavezzacollo come Sasha, magari affidandoli ai macellai ceceni, come dimostrano foto e video pubblicati anche da Avvenire.

Secondo l’ufficio del procuratore generale di Kiev i minorenni dispersi sono 16.226. La gran parte sarebbero stati deportati in Russia o nei territori occupati dalle forze russe. Proprio come Olexander, 12 anni, per tutti Sasha. Era stato preso con la forza dai militari di Mosca insieme alla giovane madre Snizhana. Erano a Mariupol nel primo mese di guerra. Con il pretesto delle evacuazioni, mamma e figlio vennero condotti in un campo di filtrazione, dove sono stati poi separati senza neanche dargli modo di salutarsi un’ultima volta. Sasha era ferito a un occhio, e dopo le cure in un ospedale gli hanno comunicato che avrebbe cambiato vita: un orfanotrofio in attesa di venire adottato da una famiglia russa.

È al coraggio di ragazzini come Sasha che si deve il mandato di cattura per Vladimir Putin. Incrociare le testimonianze, raccogliere riscontri, verificare ogni virgola del racconto senza dover costringere i bambini ritrovati alla tortura della memoria. Sono 308 quelli recuperati alle loro famiglie. Un lavoro che ha richiesto tempo, ma che ha fornito elementi decisivi nell’indagine del procuratore internazionale Karim Khan.

«Siamo stati caricati su un Kamaz (un camion di fabbricazione russa, ndr) e portati al campo di filtrazione a Bezimenne», un borgo sul mare a metà strada tra Mariupol e il confine russo, che dista 30 chilometri. Lì la madre è stata interrogata, «e poi mi hanno detto – racconta Sasha – che lei non aveva superato i controlli e che le sarei stato portato via. Non ci hanno neanche permesso di vederci». Niente giri di parole: «Nessuno ha bisogno di te. Avrai una nuova famiglia», gli dissero. Nel frattempo Liudmyla, la nonna di Oleksandr che vive in Polonia, è riuscita a mettersi in contatto con il nipote grazie a un messaggio che lui era riuscito a mandarle su Facebook dal territorio occupato, un momento prima che gli venisse impedito di accedere a Internet.


Dopo aver attraversato Polonia, Lituania, Lettonia, Russia e la regione occupata di Donetsk, grazie ad alcuni “partigiani” la nonna ha trovato Oleksander e lo ha strappato ai russi, con modalità che non possono essere precisate per non rendere identificabile il bimbo e sua mamma. Le ultime informazioni sulla madre risalgono alla fine dell’estate scorsa, quando si è appreso che era detenuta in una struttura a Taganrog, in territorio russo a un’ora d’auto da Rostov sul Don. Sasha e la nonna non sanno se è ancora viva, ma lo sperano. Del processo a Putin a questi bambini importa fino a un certo punto: «Sto aspettando mia madre e credo che tornerà, e voglio che questo accada il prima possibile», ripete Sasha.



Il portale ucraino per i bambini scomparsi viene aggiornato a mano a mano che affluiscono informazioni credibili. Pochi giorni fa, ad esempio, un altro adolescente desaparecido è tornato nel villaggio d’origine, facendo salire a quota 308 il numero dei ragazzini allontanati dalle forze russe e rientrati avventurosamente a casa.A coordinare le deportazioni, ammantate da amorevoli cure in nuove famiglie di provata fede putiniana è Maria Lvova-Belova. Commissario presidenziale per i diritti dell’infanzia della Russia, già il 14 luglio 2022 aveva annunciato che «un totale di 108 “orfani del Donbass” che hanno ricevuto la cittadinanza russa saranno assegnati a nuovi genitori in sei regioni della Russia». Lei stessa, raffigurata dai media come donna pia e devota alla causa dei più indifesi, il 21 settembre ha fatto sapere che il suo «figlio adottivo di Mariupol» aveva appena ricevuto la cittadinanza russa. Per dare l’esempio Lvova-Belova avrebbe “adottato” almeno otto bambini ucraini.


«La linea della propaganda russa - denuncia Bill Van Esveld, direttore associato per i diritti dell'infanzia di Human Rights Watch - è che lo fanno per proteggere i bambini. Dicono: li stiamo aiutando, sono stati trascurati dai loro genitori, sono stati abbandonati, e ora ci prenderemo cura noi di loro”. Molti di questi bambini hanno una famiglia “e sono stati portati via senza che i genitori ne fossero mai informati e ora cercano disperatamente di riaverli».

Nel novembre 2022 Amnesty International aveva pubblicato un rapporto sulle deportazioni e sui trasferimenti forzati di civili ucraini, bambini compresi. Il mandato di cattura per Putin e Lvova-Belova «è un segnale importante, sia per l’Ucraina che per il resto del mondo - commenta Agnés Callamard, segretaria generale di Amnesty International - Significa che le persone sospettate di aver commesso crimini di diritto internazionale in Ucraina andranno incontro ad arresti e processi, a prescindere da quanto siano potenti».