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Bonalumi (Ispi). «Venezuela, non è troppo tardi per un negoziato»

Lucia Capuzzi sabato 5 agosto 2017

L'incubo della violenza in Venezuela (Ansa)

«In Venezuela assistiamo a un paradosso. L’opposizione anti-chavista protesta da 121 giorni per difendere la Costituzione di Hugo Chávez. Tanto che Nicolás Maduro, per giustificare il fatto di volerla cambiare, ha definito la Carta del 1999 una “Costituzione pioniera”». Gilberto Bonalumi, consigliere scientifico dell’Istituto studi di politica internazionale (Ispi) per l’America Latina, si occupa da quasi cinque decenni della regione. «Fin da quando il generale Alvarado prese il potere in Perù. Era il 1968», racconta. In Venezuela, in particolare, Bonalumi è stato a lungo. E là ha conosciuto Chávez nonché principali esponenti dell’opposizione, «di ieri e di oggi», sottolinea. «Noto con dispiacere che il Paese si sta avviando verso un punto di non ritorno».

Si riferisce alla Costituente?

Anche alla Costituente. Assistiamo, nei rispettivi schieramenti, a una radicalizzazione preoccupante. In primis nel governo. Mentre gli attacchi di Chávez si concentravano sull’economia di mercato, Maduro si è concentrato sulle istituzioni democratiche. Da mesi cerca di smantellare il Parlamento e la Procura generale. È una differenza fondamentale di prospettiva. Di solito, in una simile ipotesi, in America Latina, si sarebbe verificato un intervento militare. Se questo non è accaduto è perché il governo Maduro è “civico militare”: le Forze armate sono dentro il sistema e ne costituiscono la spina dorsale.

Il governo può ancora fare un passo indietro e riprendere il dialogo con l’opposizione come gli ha chiesto il Vaticano?

L’appello della Santa Sede è forte e importante anche per il carisma e il credito di cui godono in Venezuela papa Francesco e il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, ex nunzio a Caracas. Al momento, i canali di negoziato sono interrotti. Solo la Santa Sede potrebbe aiutare a riannodare i fili. Il suo tentativo dovrebbe essere sostenuto dalla comunità internazionale, anche andando oltre la Costituente. Data la rilevanza geopolitica del petrolio venezuelano, le principali potenze dovrebbero cercare di promuovere una forma di avvicinamento tra le parti, magari sotto traccia. Usa e Russia giocano una partita strategca su questo scacchiere.

La pressione del mondo può far cadere Maduro?

L’uscita di scena di Maduro non implica la fine del conflitto. Chávez aveva zoccolo duro di consenso che solo in parte si è trasferito a Maduro. Eppure questi chavisti delusi non sostengono in maggioranza l’opposizione. La ragione è complessa. Il “fenomeno Chávez” nasce dalla feroce crisi politica ed economica degli anni Novanta. Lo spettro del governo di Carlos Andrés Pérez e dei suoi tagli selvaggi continua ad aleggiare sui venezuelani più poveri. Il 27 febbraio 1989, una folla di disperati sfilò per le strade della capitale per protestare contro il rincari dei prezzi del cibo e perfino della benzina: la polizia la represse con durezza. Solo a Caracas e Algeri all’epoca vi erano “rivolte del pane”. L’ombra del “caracazo” – come fu chiamata la sollevazione – rende diffidenti i settori con meno risorse verso l’opposizione. “Non vogliamo Maduro ma nemmeno che tornino loro” è una frase che si sente spesso nei “ranchos”, le baraccopoli. Ai loro occhi, la Mesa de unidad democrática (Mud) è in parte l’erede della vecchia oligarchia, immagine da cui quest’ultima deve sforzarsi di prendere le distanze per includere questa parte della società. Altrimenti, in caso di caduta di Maduro, lo scontro sociale continuerà.