Mondo

La strage al Cairo. I copti egiziani: «Ormai qui ci trattano da stranieri»

Federica Zoja martedì 13 dicembre 2016

«Ho sempre più paura, non ho mai pensato di andare via, ma adesso comincio a considerare la possibilità di farlo in pianta stabile», spiega Ragab. È una copta ortodossa cairota. E conosce molte famiglie toccate dalla strage di domenica nella cosiddetta “Cairo copta”.

L’attentato presso la chiesa di San Pietro e Paolo, nel complesso della cattedrale di San Marco, riporta bruscamente al centro dell’attenzione il contesto drammatico in cui versa la minoranza cristiana egiziana. In un crescendo di tensioni sociali, intimidazioni, attacchi mirati, il 10 per cento circa della popolazione vive sentendosi discriminato nel proprio Paese d’origine. Discriminazioni sistematiche e anche gravi episodi di violenza non rappresentano una novità nella vita dei cristiani d’Egitto. Qualcosa, però, pare peggiorato negli ultimi anni.

«Mi sento sempre meno protetta, ho l’impressione che alla polizia non interessi la nostra sicurezza, come se non fossimo davvero egiziani, come se fossimo un po’ stranieri. Prima mi muovevo spesso fuori dal Cairo nei fine settimana, adesso ho ridotto gli spostamenti e vado sempre meno nel Sinai», spiega Ragab, 40 anni, ricercatrice universitaria in un ateneo privato. Dopo la fulminante ascesa, seguita da un’uscita di scena altrettanto rapida, della Fratellanza musulmana alla guida del Paese fra il 2012 e il 2013, i vertici del patriarcato copto ortodosso si sono esposti politicamente come mai nel passato recente. Il sostegno manifesto al direttorio militare di Abdel Fattah al-Sisi, prima, e all’insediamento alla presidenza di quest’ultimo, poi, hanno acuito il risentimento nei confronti della comunità cristiana d’Egitto da parte dei sostenitori della confraternita.

«In realtà, io il risentimento lo sento da più parti, anche molto diverse – riferisce la donna – È il fastidio evidente dell’autista dell’autobus quando salgo io, donna senza velo e con una croce sul polso, e magari fa di tutto per farmi scendere con la scusa che non c’è posto. Oppure sono le occhiate delle altre donne in metropolitana, tutte con l’hijab, che piano piano si allontanano. Ormai prendo la macchina per spostarmi. È chiaro che non è sempre così e che ho amici musulmani di lunga data. E anche colleghi musulmani con cui lavoro bene, però appena possono la “battuta” scatta. E fa male».

Ai cristiani, i concittadini musulmani rinfacciano l’attuale corso politico, più o meno in questi termini: «Dicono così: credevate che al-Sisi fosse il salvatore e invece è molto peggio di Hosni (Mubarak) e pure di (Mohamed) Morsi, contenti?», sintetizza Ragab.

Nel passato recente, un altro attacco dinamitardo ha insanguinato una funzione religiosa cristiana, quello del primo gennaio 2011 nella chiesa dei Santi, ad Alessandria d’Egitto. Ad Alessandria, Magda, 37 anni, fa la Web master: «Lavoro per conto mio, a volte ho pochi contatti con i miei clienti, quindi non risento della mia diversità nel mondo del lavoro. Ma gli amici cristiani occupati nella pubblica amministrazione hanno un sacco di problemi, ritardi, fastidi, trovano continui ostacoli. Spesso sono vittime di mobbing. E poi temono sempre di essere licenziati. Io invece ho paura quando si avvicinano le feste, le occasioni religiose in cui siamo “apertamente” cristiani. Ho paura degli estremisti, dei pazzi. Avevo paura sotto Mubarak e ho paura anche adesso. In questi anni noi cristiani non siamo cambiati, sono cambiati loro musulmani: gli intolleranti sono aumentati. E vogliono un Egitto tutto loro», conclude con amarezza. Il cambiamento, tuttavia, riguarda anche il comportamento dei copti, inevitabilmente: «Certo, ci frequentiamo sempre più fra di noi, andiamo nei negozi di copti, nei ristoranti di copti, dai medici copti. E se ti innamori di un musulmano, per le famiglie è ancora peggio oggi che 20 anni fa, una tragedia », chiosa la giovane donna».