Giovani

La pace dei giovani. «Il bene genera bene. E vince sulla paura»

Chiara Vitali sabato 2 aprile 2022

Una manifestazione dei giovani della Comunità di Sant'Egidio per la Pace in Ucraina

Ripensare i valori alla base della nostra società, cercare davvero la pace, interrogarsi su cosa sia realmente l’accoglienza. La guerra in Ucraina ha suscitato riflessioni soprattutto attorno a questi nodi: è quello che pensano i giovani lombardi che da novembre stanno partecipando al percorso di «Giovani e Vescovi» voluto dai vescovi lombardi.

Il conflitto ha provocato in loro un senso di «disorientamento, incredulità e paura», raccontano, e tanti hanno risposto con azioni di solidarietà e preghiera per la pace organizzate sul proprio territorio. Elisa Ghisetti, 21 anni di Crema, è una di loro: «Da quando è scoppiata la guerra sento che l’unica nostra certezza è l’incertezza, come dice il sociologo Baumann» spiega. Negli ultimi giorni, ha aiutato un’amica a preparare l’accoglienza di una famiglia ucraina. «Avevo bisogno di trovare alcuni vestiti – racconta la giovane –, ho chiesto aiuto tramite i social media e sono arrivate tantissime cose. Se c’è una cosa che possiamo imparare dalla guerra in Ucraina, è che il bene genera bene e il male genera male». Elisa ha partecipato anche a diverse veglie di preghiera per la pace e sottolinea il compito che pensa spetti alla Chiesa in questo momento: «Mi attendo dalle comunità cristiane una disponibilità totale ad accogliere i rifugiati, tutti, non solo quelli ucraini».

Anche Annamaria Locatelli, 26 anni, ha dedicato il suo tempo libero a preparare l’accoglienza di cinque famiglie ucraine nell’oratorio di Cerro al Lambro (Milano). «Come gruppo giovani ci siamo divisi i compiti e abbiamo trasformato le aule in camere da letto – spiega –. Io sono un’ingegnera energetica, mi sono occupata delle parti più logistiche». Annamaria insegna matematica e fisica in un liceo, e lì gli studenti le fanno molte domande sul conflitto: «Abbiamo parlato soprattutto di energia nucleare, che può distruggerci se usata contro di noi, ma che è una risorsa se utilizzata nel modo giusto». La guerra l’ha colpita perché, continua, «mi immedesimo con i giovani che stanno scappando. Da un giorno all’altro non puoi più fare progetti, devi solo pensare a sopravvivere, e attaccarti alla vita». I giovani lombardi si interrogano anche su quale sia il loro ruolo in questo momento. «Abbiamo il compito di discernere nella vita quotidiana gli atteggiamenti conflittuali e quelli di pace, perché la nostra ottica deve essere sempre di amore – dice Giacomo Abbondio, 23 anni, di Brescia –. La guerra deve anche farci riflettere sui valori della nostra società: mettono al centro la persona e la vita?».

Un aspetto che interessa i ragazzi è quello della comunicazione, come spiega ancora Giacomo: «Riceviamo continuamente informazioni, e tutti si mettono in mostra per dire la propria opinione, magari senza avere la giusta competenza. Questo non aiuta a comprendere la situazione ». Anche Elena Pirola, 26 anni, si sofferma sul ruolo dei media: «Mi piacerebbe che fossero più onesti e dessero spazio anche alle altre guerre in atto da anni. Viviamo in un mondo globale e tutto ci può riguardare, lo abbiamo imparato anche con il Coronavirus». Elena lavora per la Caritas Ambrosiana e anche prima del conflitto si occupava di accoglienza di profughi: «Sono rimasta molto colpita dalla risposta degli italiani alla guerra in Ucraina – continua –. È una cosa bella, ma mi chiedo come creare la stessa fraternità attorno ad altre situazioni di disagio e conflitto, altrettanto preoccupanti». Per lei, aggiunge, «accogliere non è soltanto aprire la porta di casa ma riconoscere che esistono persone diverse da noi che siamo disposti ad ascoltare e a includere nella nostra rete».

I giovani si chiedono anche quale valore attribuire in queste settimane alla parola 'pace'. Matteo Marsala, 23 anni, di Bergamo, per rispondere si ispira all’enciclica Fratelli tutti di papa Francesco. Pace – riflette – «è vedere nelle altre persone la loro intoccabile dignità umana. Se riconosco questa dimensione, l’altro non potrà mai diventare un nemico, anche se ha idee diverse dalle mie». Secondo Matteo, il compito della Chiesa in questo momento è «puntare sul dialogo tra i popoli e costruire una narrazione che sia conciliante, non guerrafondaia». Ancora, «la Chiesa deve seguire gli appelli di Francesco, opporsi all’invio di armi e concentrarsi sull’appoggio a chi sta male». Le divisioni della guerra aprono a uno sguardo sui prossimi anni: «Ci sono sfide, ad esempio quelle legate alla crisi climatica – aggiunge –, che chiedono a tutti di collaborare. Il futuro dell’umanità sarà fatto di unità, o non sarà futuro».