Economia

Intesa. Banche venete, un'operazione da 17 miliardi. Tutti i costi della fusione

Cinzia Arena lunedì 26 giugno 2017

Le banche venete da oggi non esistono più. Vengono di fatto assorbite da Intesa Sanpaolo che al prezzo simbolico di un euro si porta a casa la parte sana di Popolare di Vicenza e Banco Veneto e rafforza il suo peso in Italia con oltre 100mila lavoratori e 6100 sportelli. Di fatto, con il via libera della Commissione Ue, si è scelta la via del salvataggio di Stato mettendo i due istituti in liquidazione. Il governo ha previsto un esborso immediato di 5,2 miliardi di euro (che andranno ad Intesa) e coperture possibili per altri 12 miliardi accollandosi di fatto l'intera operazione.

Da dove vengono i soldi che servono a salvare le due banche?

I soldi vengono dallo Stato. Il governo nel decreto approvato domenica (e che adesso passa al vaglio delle Camere) ha previsto un esborso immediato di 5,2 miliardi di euro (che andranno ad Intesa) e coperture possibili per altri 12 miliardi. I 5,2 miliardi provengono dal fondo di 20 miliardi creato a Natale proprio per il salvataggio delle banche. Nello specifico sono previsti 3,5 miliardi come anticipo di cassa per evitare che Intesa peggiori la sua situazione patrimoniale, 1,2 miliardi per la gestione del personale (si parla di 4000 esuberi di cui solo 1200 delle venete) e altri 400 milioni come garanzia per eventuali crediti in difficoltà.

A cosa serve la copertura aggiuntiva di 12 miliardi prevista dal decreto?

Serve a tutelare Intesa Sanpaolo e a ridurre a zero i rischi di ulteriori crediti deteriorati oltre a quelli che finiranno nella bad bank. Il Tesoro ha previsto 6,3 miliardi per i crediti dubbi, 4 per i prestiti e altri 2 di garanzie legali.

Quali sono i numeri della bad bank?

I crediti considerati in sofferenza (le stime parlano di 18 miliardi) e quelli aggiuntivi che Intesa potrà considerare tali (entro tre anni) rappresentano la bad bank che finirà alla Sga, la società gestita dal Tesoro che ha gestito la liquidazione del Banco di Napoli, chiudendola in attivo.

Cosa c'è invece nella good bank che si porta a casa Intesa Sanpaolo?

Crediti in bonis (cioè considerati non a rischio) per 26,1 miliardi e una cifra quasi equivalente (25,8 miliardi) di debiti verso la clientela. 11,8 miliardi di obbligazioni senior e 8,9 miliardi di attività finanziarie partecipazioni in altre banche anche estere. Nel pacchetto anche 10mila dipendenti e 900 sportelli. Ma sarà necessaria una razionalizzazione sul territorio che porterà alla chiusa di 600 sportelli tra venete e Intesa.

Quali normative sono state adottate e perché?

Le temute normative europee che prevedono il bail-in vale a dire il salvataggio interno con il coinvolgimento anche di correntisti e obbligazionisti sono state evitate. Perché? Le due banche sono state considerate troppo piccole per avere effetti sulla stabilità finanziaria dell'Unione ed è stato così possibile il ricorso alla procedura italiana di liquidazione coatta amministrativa che viene gestita dalla Banca d'Italia. Una procedura che prevede aiuti di Stato.

Cosa succede adesso ai due milioni di clienti delle due banche?

Sportelli aperti, conti correnti e mutui semplicemente trasferiti. Nessuna partecipazione alle perdite per gli obbligazionisti senior che si vedranno rimborsare il 100% dei bond. A rimetterci saranno invece i possessori di obbligazioni subordinate ma per i piccoli risparmiatori che le hanno acquistato allo sportello è previsto un rimborso dell'80% dallo Stato e per il restante 20% da Intesa (he ha stanziato 60 milioni) come già avviato per Monte dei Paschi. A perdere tutto invece saranno gli azionisti. Le due banche sono di proprietà del Fondo Atlante (promosso dal governo e finanziato dalle banche), che si è fatto carico della ricapitalizzazione da 3,5 miliardi dell'anno scorso. Le perdite saranno ingenti, probabilmente pari all'intero capitale. Gli azionisti privati hanno pagato il conto in passato, quando hanno visto polverizzarsi il prezzo figurativo dei titoli.