Chiesa

Cardinale Renato Corti. La mia porpora? L'intervista nel giorno del Concistoro

Enrico Lenzi sabato 19 novembre 2016

«Sorpresa». Ma anche la consapevolezza che «con la porpora il Papa ha voluto, attraverso me, dire grazie all'impegno dei vescovi emeriti».
Renato Corti, nato il 1° marzo 1936, ha guidato per 20 anni la Chiesa di Novara, dopo essere stato ausiliare a Milano per 9 anni. Oggi riceverà la berretta cardinalizia da papa Francesco.

Eminenza, una decisione, quella del Papa, che l'ha sorpresa. Come vive questo passaggio della sua
vita di pastore? Cosa significa per lei diventare cardinale a 80 anni?

Dopo un mese dall'annuncio imprevisto, incomincio a comprendere che non riceverò una onorificenza. Mi verrà invece posta sulle spalle una responsabilità. Sarà soprattutto quella di prestare grande attenzione alla Chiesa, invocando dallo Spirito Santo il dono del consiglio. Una telefonata che ricevo da un vescovo italiano impegnato in Brasile, mi ricorda i tanti vescovi emeriti che ci sono in quella nazione. Papa Francesco ne ha scelto uno per dire grazie a tutti i vescovi, fedeli nel servizio fino all'ultimo giorno.

Lei vive la condizione di vescovo emerito. Ha scelto di ritirarsi presso i padri oblati di Rho. Però continua a essere una presenza attiva nella Chiesa. È una indicazione di come vivere la propria ordinazione episcopale anche dopo la conclusione dell'impegno in una diocesi?

Penso proprio di sì. Mi accompagna il motto episcopale di J. H. Newman: Cor ad cor loquitur. Per me si tratta di un proposito, non di una realtà acquisita. Tale stile è da decidere all'aurora di ogni giorno. Mi accompagna pure un testo che si trova nelle catacombe con riferimento all'ingresso di Gesù a Gerusalemme: Asinus portans mysteria. L'ho adottato come lettura sostanziale del ministero
episcopale durante la visita pastorale in diocesi di Novara. Quelle parole, molto forti nella loro semplicità, dicono che il più grande onore è quello di essere l'asinello che porta Gesù nella città, nel mondo intero. È ciò che segretamente mi ispira.

Lei è stato vescovo ausiliare e vicario generale dell'arcidiocesi ambrosiana durante l'episcopato del cardinale Carlo Maria
Martini. Cosa ha significato per lei questa esperienza sia dal punto di vista sacerdotale sia da quello umano?

La sera dell'ordinazione episcopale, avvenuta nella Basilica di Sant'Ambrogio, ho fatto - in certo senso - "testamento". Era la veglia di Pentecoste 1981. Al termine della celebrazione mi sono riferito al discorso di Paolo a Mileto. Si legge: «Non ritengo la mia vita
meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio» (At 20, 24). Parole molto impegnative. Paolo le ha vissute realmente. Sarebbe bello che, in qualche misura, avvenisse anche per me.
Il compito di vicario generale mi ha chiesto: esperienza di vita comune con il cardinale Martini; ascolto quotidiano dei sacerdoti; immersione nel cammino complessivo della Chiesa ambrosiana; partecipazione a significativi appuntamenti (per esempio, il Convegno "Farsi prossimo"; l'"Assemblea di Sichem" per i giovani); attenzione ai drammatici avvenimenti sociali degli anni '80 e al forte cambiamento culturale legato al '68. Ho cercato di affrontare quel decennio con realismo, consapevole dei miei limiti, sia
nel comprendere ciò che avveniva nella Chiesa e nella società, sia nel coltivare la saggezza necessaria soprattutto a proposito delle scelte pastorali più rilevanti.

Nella sua prima omelia all'ingresso nella diocesi di Novara nel 1991, tra le altre cose disse di voler «suscitare in voi il desiderio di camminare sulla via del Vangelo». Sono passati 25 anni. In che modo oggi è possibile «suscitare» quel desiderio?

Penso che la risposta possa essere espressa da termini come bellezza, gioia, speranza, coraggio. E può essere data attraverso persone "illuminate di dentro", che parlano già con lo sguardo, il volto, i silenzi. Quanto alle parole, contano quelle che emergono ex abundantia cordis. E ancora, la riposta può essere svelata da persone che si leggono come dono ricevuto dalle mani di Dio e sostenute dalla certezza che, incontrando il Signore Gesù Cristo, luce del mondo e salvatore dell'uomo, si è ricevuto il "centuplo" già in questa vita. Marco aggiunge: "Con le persecuzioni", lasciandoci intendere che esse non bastano per cancellarlo (cfr Mc 10, 29-30).

Ancora oggi la chiamano a predicare e tenere esercizi spirituali. Quali sono le caratteristiche per essere un buon predicatore?
Mi offre la risposta Agostino in una sua omilia: «Eccoci qui, voi ed io, tutti condiscepoli di Gesù, unico Maestro» (Discorso
340/A, 4). Ciò significa che il primo ad essere uditore, negli Esercizi spirituali sarà il predicatore. Darà inoltre forza alle sue parole coltivando l'unità di se stesso contro il rischio sempre presente di un cuore diviso. Il linguaggio biblico si esprime parlando del "cuore integro". Tale condizione interiore gli permetterà di cogliere al meglio ciò che Dio vuole comunicare alle persone a cui si rivolge. Ne ha parlato ampiamente papa Francesco nell'Evangelii gaudium, riferendosi all'omelia.

Nel 2015 papa Francesco le chiese di comporre le meditazioni per la Via Crucis al Colosseo. Scelse come tema il "custodire l'altro". Tema quanto mai attuale nel corso dell'Anno Santo della misericordia. Quale bilancio si può trarre dal suo osservatorio?

Papa Francesco, già nella sua adolescenza, rimarca di avere percepito la centralità della misericordia nel Vangelo. Gli aspetti fondamentali della misericordia di Dio verso l'uomo sono due. Il primo consiste nella condiscendenza del Padre che diventa visibile sul volto di Gesù, il quale partecipa pienamente all'esperienza umana fino alla morte di croce. Il secondo è da riconoscere
nella speranza offerta ad ogni uomo da Cristo risorto, nostro "precursore" sul sentiero della vita gloriosa (cfr Eb 6, 20). Quanto alla misericordia che noi stessi siamo chiamati a manifestare, Paolo ci esorta: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2, 5). Ogni nostra giornata sarà tanto più giusta quanto più questo orizzonte ci accompagnerà dal mattino alla sera.

Cosa scriverà domani (oggi per chi legge, ndr) nel suo diario personale che aggiorna quotidianamente?
Penso che la dedicherò al cardinale Vinko Puljic, arcivescovo di Sarajevo. Era il più giovane tra i nuovi cardinali nel Concistoro del 1994. Aveva 49 anni. A Roma era andato praticamente da solo. In Bosnia-Erzegovina era in atto la guerra.
Quando rientrò venne fermato dall'esercito alle porte della capitale per l'intera giornata. Andò verso la sua abitazione durante la notte. Camminò a piedi davanti all'auto, i cui fari furono spenti. Questo fu il suo ingresso come neo-cardinale! Egli mi aiuterà a vivere questa giornata di sabato con i piedi per terra.