Chiesa

L'intervista. Prosperi: per Comunione e Liberazione un nuovo inizio

Riccardo Maccioni mercoledì 26 ottobre 2022

Nella lettera scritta a tutto il movimento parla di «un vero nuovo inizio». Spiega Davide Prosperi che quanto accaduto durante l’udienza del 15 ottobre scorso con il Papa «è andato ben oltre ogni possibile aspettativa». Per questo – aggiunge il presidente della Fraternità di Cl – il sentimento che prevale è la gratitudine. A Dio «per il dono di don Giussani e del suo carisma», allo stesso fondatore di Comunione e liberazione cui si deve il merito di aver radunato ancora una volta «il nostro popolo» intorno alla guida della Chiesa.

E naturalmente al Pontefice «per le parole affettuose e profonde dedicate a Giussani» e per «averci indicato non solo il punto cui dobbiamo tendere ma anche la strada per arrivarci». Non era scontato. Cl viene da un periodo difficile. Dopo la morte del fondatore e il logico sbandamento che ne è seguito, sono emerse differenze anche profonde sull’interpretazione del carisma e il suo adattamento al tempo che viviamo.

Una “crisi” culminata con la nomina dell’arcivescovo di Taranto, Filippo Santoro a “delegato speciale” presso i “Memores Domini” (l’associazione dei laici consacrati) e le dimissioni di don Julian Carrón da presidente della Fraternità di Cl.

A lui il 21 settembre 2021 è subentrato Prosperi, 50 anni, sposato e padre di quattro figli, docente di biochimica e direttore del centro di Nanomedicina all’Università di Milano Bicocca. «L’incontro con il Papa – spiega – ha precisato in modo chiaro e anche esplicito il mandato che la Chiesa consegna al movimento. Ci è stata chiesta una vera e propria conversione per riscoprire la grazia del carisma ricevuto da Giussani e per godere ancora di più della bellezza della compagnia di Cristo nella nostra comunità, così da poterla comunicare a tutti. In questo senso quanto più noi saremo disponibili a seguire i passi che ci ha indicato papa Francesco tanto più la nostra compagnia sarà un luogo vivo di luce, di unità e di speranza, per tutta la Chiesa e l’umanità».

Tra i passi chiesti da papa Francesco, emerge con forza l’invito al superamento delle divisioni e contrapposizioni dell’ultimo periodo.

Nei mesi scorsi la Chiesa è già intervenuta in più occasioni, precisando il ruolo della guida all’interno della vita del movimento. Il Papa ci ha ricordato che don Giussani è un bene, un valore, un dono per tutta la Chiesa, non una proprietà nostra. Dopo la morte del fondatore, come ha detto il Pontefice, non deve stupire che ci siano momenti di sbandamento, di difficoltà, anche di interpretazioni differenti su quello che si è vissuto.

Si tratta di fare passi avanti.

Quello che stiamo vivendo, a mio parere, non è più un periodo di transizione ma rappresenta un nuovo inizio. Il Papa e la Chiesa sono intervenuti con autorità dicendoci: siamo con voi, camminiamo insieme. Per me questo è il periodo del rilancio.

Uno dei temi discussi è quello dell’interpretazione del carisma. Un tema che riguarda sia la vita interna del movimento che il rapporto con l’autorità ecclesiastica.

Siamo arrivati a quest’incontro con il Papa anche grazie alla compagnia che in tutto questo anno ci ha fatto il Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, accompagnandoci nei passi necessari, verificandoli poi insieme, sempre con una grande disponibilità. E noi ci siamo affidati. Credo che la fiducia reciproca sia la condizione fondamentale di questa nuova fase.

Però ci sono stati anche momenti di incomprensione.

Se nel tempo non prevale la certezza che a governare tutto è lo Spirito di Dio attraverso la Chiesa che ha voluto, alla lunga si arriva alle incomprensioni e agli attriti.

Lei è all’inizio del suo mandato di presidente della Fraternità di Cl. Qual è la sua maggiore preoccupazione?

Non posso dire di essere preoccupato nel senso ansioso del termine. All’udienza con il Papa ho visto chiaramente che nulla dipende da noi, è un Altro che opera. Il popolo presente ha mostrato che questa storia, questa realtà, è stata ed è voluta da Dio, In questo senso sono sereno, certo e al tempo stesso impegnato, con tutti i miei limiti, a rispondere del compito che mi è stato affidato. Una responsabilità che fa tremare le gambe ma che porto in comunione con chi la condivide insieme a me. Io credo che il carisma sia come un’aquila: non si può pensare di curarla tenendola chiusa in una gabbia. Perché così facendo nel tempo si spiumerà, si ammalerà fino a morire. L’aquila deve volare.

E questo volo dove deve portare?

Credo che la strada che si apre adesso sia innanzitutto quella della missione: nei vari ambienti della società, com’è sempre stato sin dalla nostra origine, e nel mondo. In particolare, nei luoghi di povertà, come ci ha chiesto il Papa, nei luoghi di bisogno dell’uomo, dove c’è solitudine.

Lei ha parlato di nuovo inizio. Quali le tappe necessarie per il cammino che si avvia?

Innanzitutto il rinnovamento dell’impeto missionario, da tradurre nelle forme delle tre dimensioni fondamentali della vita cristiana: cultura, carità e missione in senso stretto. Nell’immediato il Papa ci ha soprattutto chiesto, e per noi è già un impegno concreto, di accompagnarlo nella sua profezia per la pace, per la carità e per la missione in ogni nazione e cultura.

Un aspetto da sempre molto importante per la vita del movimento è l’attenzione alla politica. Lei all’indomani del 25 settembre, commentando l’esito del voto ha richiamato soprattutto il concetto di responsabilità.

Se io dovessi dire qualcosa alla nuova maggioranza che sta iniziando a governare, parlerei di responsabilità verso l’intero Paese, non solo nei confronti di chi li ha votati. E questo comporta un senso di coscienza e di conoscenza delle necessità e delle esigenze di tutti.

Dalla guerra, al post Covid, al caro bollette, i problemi sono tanti e urgenti.

Responsabilità significa certamente rispondere ai bisogni, ma non vuol dire che chi tiene il timone debba occuparsi di tutto e gestire tutto. Mi auguro che, come ha annunciato di voler fare durante la campagna elettorale, la nuova maggioranza lasci spazio all’iniziativa che sorge dalla società civile, favorendo lo sviluppo di una cultura sussidiaria. Molto del giudizio sul nuovo governo si giocherà su questo aspetto. Confidiamo che venga concessa la possibilità di proporre, di contribuire, di costruire.

Una responsabilità che voi siete disponibili ad assumere anche come movimento.

Assolutamente sì, soprattutto nell’ambito che ci compete di più che è quello educativo. L’educazione, in questo momento, è l’urgenza più grave, ancora di più della crisi energetica.

Siamo nel centenario della nascita di don Giussani. Qual è l’aspetto di lui che l’ha affascinata di più?

A livello personale, visto che ho avuto la fortuna di conoscerlo e di frequentarlo, è stato innanzitutto lo sguardo. Guardandolo avevi la percezione che dai suoi occhi traluceva il cielo. Andavo spesso a trovarlo, anche per le responsabilità che avevo nel movimento: di qualunque argomento si parlasse, fosse anche semplicemente di musica, tornavi a casa più certo e ti sentivi utile. E poi stando con lui, incontrando lui, seguendo lui, Cristo era ovunque. E lo vedevi chiaramente. Gesù era talmente sempre presente nella sua memoria, nel suo modo di guardare le cose, da diventare la definizione della sua vita. E questo si rifletteva inevitabilmente nel modo di stare con le persone e di guidare una realtà come la nostra.

In cosa consiste la sua maggiore attualità?

Direi nella sua radicalità, cioè nella sua proposta radicale di vivere la fede. Oggi ci si interroga su cosa fare per arrivare al cuore degli uomini del nostro tempo, così incapace di avere la minima certezza su qualsiasi cosa. Però la storia ci dice che mentre i regni e gli imperi sono crollati, la Chiesa rimane. E rimane perché il contenuto del suo messaggio non è un’ideologia ma la presenza di Cristo. Giussani su questa presenza ha scommesso ogni istante, ed è questo che anche noi ora siamo chiamati a fare, imitando lui. Niente di più. Sembra poco, ma è tutto.© riproduzione riservata