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Domande & risposte. Salvini: sequestreremo la nave dei migranti. Ma lo può fare?

Redazione Interni venerdì 22 giugno 2018

"Come prima cosa è il Ministero delle Infrastrutture competente dei porti e comunque l'attività governativa non ha alcun tipo di potere". Le minacce di Salvini di voler sequestrare la nave Ong Lifeline rischiano di cadere nel vuoto. Ne è convinto Luca Masera, professore di Diritto penale e membro del direttivo Asgi, l'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione. "Il sequestro è ad opera dell'attività giudiziaria - prosegue l'avvocato -. I ministri possono far svolgere accertamenti che comportano il blocco preventivo della nave".

Sequestro (dell'autorità giudiziaria) consentito solo in caso di reati

"Sicuramente il sequestro non si può fare in acque internazionali", aggiunge Fulvio Vassallo Paleologo, avvocato, componente della Clinica legale per i diritti umani (CLEDU) dell'Università di Palermo. "Il sequestro è consentito poi ovviamente in sospetto di reati quali il traffico di armi, il traffico di droga e terrorismo".

Quando si definisce pirata una nave?

La nave pirata è quella nave che non batte bandiera. Ed è quello che ha cercato di dimostrare il ministro dell'Interno Salvini a proposito della Lifeline. La nave pirata può essere sequestrata anche in acque internazionali (e non solo territoriali o al massimo entro le 24 miglia). Per questo motivo si sta cercando di dimostrare che la nave (la Lifeline, ndr) non ha bandiera olandese – prosegue Vassallo Paleologo -. Si vuole creare il presupposto per casi futuri, esercitare cioè un potere di sequestro per le navi delle ong. Ma la Lifeline ha dimostrato comunque di avere bandiera olandese. L’Olanda permette di immatricolare mezzi navali con propria bandiera anche se non si è residenti nel Paese. Ecco perché tutti i tipi di imbarcazione - anche quelle da diporto e non sono poche – potrebbero essere passibili di sequestro nei nostri porti.

Quando scatta l’obbligo di soccorso in mare?

Gli obblighi di soccorso in mare scattano indipendentemente dalla qualità del mezzi intercettati (navi commerciali, militari e da diporto). Nel soccorso deve essere coinvolto l’Mrcc, Centro di coordinamento del soccorso marittimo, che generalmente rileva l’imbarcazione in difficoltà. Scatta un’operazione Sar (ricerca e soccorso). La qualifica di nave da diporto o commerciale è irrilevante e lo stesso vale riguardo la destinazione: non si possono fare distinzioni. Vale il principio di non respingimento dettato dall’Art. 33 della Convenzione di Ginevra.

Le inchieste a carico delle Ong

Il tribunale di Ragusa e la Procura di Palermo (che di recente hanno disposto il dissequestro della nave spagnola Open Arms) hanno confermato che la Libia non offre al momento un porto di sbarco sicuro. Attualmente restano aperte le due inchieste di Catania e Trapani. L’indagine catanese è centrata sull'ipotesi di favoreggiamento all’immigrazione clandestina a carico della Open Arms. La Procura di Trapani, invece, ha disposto il sequestro della nave Iuventa (ferma in porto dall'agosto 2017) e sta indagando per favoreggiamento all’immigrazione clandestina della Ong Jugend Rettet, proprietaria della nave.

Nel 2012 Italia condannata dalla Corte di Strasburgo

In base alle norme che riguardano i trattati per i diritti umani, bisogna chiarire se si tratta di rifugiati o di “migranti economici”. Solo in questo secondo caso può essere rifiutata la protezione internazionale o addirittura configurarsi un traffico illecito di esseri umani. Dunque, qualsiasi Stato "non può respingere la nave fino a quando non ha fatto le opportune verifiche per ogni individuo". Non solo: è anche una "questione di sicurezza della navigazione, non solo di diritti umani". Anche l'eventuale ipotesi che le stesse motovedette italiane possano intervenire per riportare i passeggeri in Libia, evitando l'approdo in un porto, spiega Roberto Virzo, docente di Diritto internazionale all'Università del Sannio e di Organizzazione internazionale alla Luiss di Roma, è molto improbabile: "Già nel 2012 - spiega - l'Italia fu condannata dalla Corte di Strasburgo per un episodio di questo tipo avvenuto del 2009, quando l'Italia aveva riportato indietro i migranti provenienti dalla Libia. Nel momento in cui le persone salgono su un mezzo italiano sono sotto la giurisdizione dell'Italia e vanno portate in un porto del nostro Paese o comunque considerato sicuro. Al contrario, una cosa del genere potrebbe avvenire solo se si ha la certezza - dopo un'eventuale identificazione sulla motovedetta - che quelle persone non richiedono protezione internazionale".