Attualità

La scheda. Come si trasmette la malaria? L'Italia è a rischio? Le risposte per capire

Viviana Daloiso martedì 5 settembre 2017

La zanzara Anopheles quadrimaculatus, tra le specie portatrici del virus della malaria (U.S. Centers for Disease Control and Prevention)

Che cos'è la malaria, come si trasmette, c'è un allarme in Italia o in Trentino? Sono molte le domande che sorgono in queste ore, dopo il caso della piccola Sofia, morta a Brescia in seguito a una malattia che in Italia, sulla carta, non dovrebbe esistere. E senza essere andata all'estero.

Come si prende la malaria?

La malaria ("Mal aria", definita così perché si credeva venisse contratta a causa dei miasmi malsani emanati dalle paludi) è una malattia infettiva potenzialmente mortale causata da un protozoo, un microrganismo parassita del genere Plasmodium, che si trasmette all'uomo ESCLUSIVAMENTE attraverso la puntura di zanzare del genere Anopheles (e non da uomo a uomo) . Le zanzare infette sono dette “vettori”: trasmettono la malattia dopo essersi infettate con il sangue di altro soggetto malarico.

Quali sono i sintomi?

La comparsa dei sintomi dipende da fattori diversi, i cui più importanti sono la specie di parassita da cui si viene infettati e la carica infettante. In linea di massima, i sintomi della Falciparum (la forma più grave) appaiono DA 7 A 14 GIORNI dopo la puntura da parte della zanzara infetta e sono di varia natura (mal di testa, vomito, diarrea, sudorazioni e tremori), comuni, almeno inizialmente, a quelli di un'influenza o di altre infezioni, ma comunque sempre accompagnati da febbre elevata. La malattia arriva a essere letale distruggendo i globuli rossi e quindi causando una forte anemia, ma soprattutto ostruendo i capillari che irrorano il cervello o altri organi vitali.

Si muore sempre di malaria?

NO, anzi. La forma da cui è stata infettata la bimba di Trento è la più grave, ma se curata per tempo può essere messa sotto controllo. Particolarmente vulnerabili sono i bambini piccoli che non hanno ancora sviluppato l'immunità protettiva nei confronti delle forme più gravi di malattia.

Adesso c'è un allarme malaria in Italia (o in Trentino)?

NO. «La zanzara vive come ciclo 20 giorni e non ha progenie quindi non c'è il rischio che possano esserci altre zanzare nate dal vettore». Lo ha spiegato il professor Alberto Matteelli, esperti di malattie tropicali agli Spedali Civili di Brescia, la struttura dove la piccola Sofia Zago è stata portata d'urgenza, quando ormai era già in coma, e dove è deceduta.

Quello che può destare preoccupazione - ma prima andranno accertate le modalità del contagio di Trento - è che in Italia «possano ora vivere un numero sufficiente di zanzare a trasmettere la malattia e che noi non lo sappiamo ancora». La malaria, ha infatti commentato il virologo del San Raffaele di Milano Roberto Burioni, «viene trasmessa con efficienza da queste particolari zanzare. È allora indispensabile che gli studiosi di zanzare (gli entomologi) si mettano subito al lavoro per escludere questa possibilità».

Com'è possibile che la bimba di Trento sia stata contagiata?

È quello che si sta cercando di accertare in queste ore.

Se il contagio è avvenuto in ospedale, una delle ipotesi al vaglio anche del ministro della Salute Beatrice Lorenzin, le modalità sono circoscritte: «L'infezione potrebbe essere trasmessa in ambiente ospedaliero - spiega il vicepresidente della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), Massimo Galli - solo attraverso l'utilizzo di siringhe ed altri strumenti contaminati o attraverso trasfusioni di sangue infetto. In una simile ipotesi di contagio diretto, i tempi di incubazione della malattia potrebbero anche risultare accorciati». Un'ipotesi «grave», commenta, che «richiede ovviamente indagini approfondite come quelle in atto».

Ma ci sono altri due modi in cui il contagio della malaria può avvenire: attraverso la punture di zanzare vettori della malattia importate da paesi dove la malattia è endemica o attraverso la puntura di zanzare autoctone che, avendo precedentemente punto soggetti infettati, hanno poi contagiato soggetti terzi. Nel primo caso, chiarisce sempre Galli, «le zanzare vettore possono essere state introdotte in Italia da viaggiatori di ritorno, ad esempio nei bagagli». Quanto alle zanzare autoctone, «in Italia - afferma Galli - ci sono almeno due specie di zanzara anofele in grado di trasmettere la malaria dopo aver punto ed assorbito sangue di un soggetto già infetto. Si tratta della anofele superpictus, più diffusa nel sud Italia, e della anofele maculipennis. In genere sono più diffuse nelle aree pianeggianti e costiere». A ogni modo la probabilità che zanzare autoctone possano infettarsi e trasmettere la malattia, lo abbiamo detto, è molto bassa: la popolazione di zanzare anofele nel nostro Paese si è molto ridotta nel corso degli anni.

Ci sono stati altri casi di malaria in Italia?

. Dal 2011 al 2015 sono stati notificati 3.633 casi, di cui l'89% con diagnosi confermata. La quasi totalità è d'importazione, i casi autoctoni riportati sono stati solo sette, riporta la Circolare del ministero della Salute dello scorso dicembre per la Prevenzione e controllo della malaria in Italia. I decessi sono stati in totale 4, dovuti ad infezioni da Plasmodio falciparum acquisite in Africa.

Il 70% dei malati sono uomini, il 45% ha tra i 24 e i 44 anni. I cittadini italiani colpiti da malaria sono il 20% dei casi (di cui il
41% era in viaggio per lavoro, il 22% per turismo, il 21% per volontariato/missione religiosa). Gli stranieri rappresentano ben
l'80%, e di questi l'81% dei casi si è registrato tra immigrati regolarmente residenti in Italia e tornati nel Paese d'origine in
visita a parenti ed amici, il 13% tra immigrati al primo ingresso. La maggior parte dei casi è notificata nelle regioni del Centro-nord.

È plausibile sostenere che la malaria arriva in italia «per colpa dei migranti»?

NO, dato che la malaria NON È CONTAGIOSA. I vettori della malaria sono le zanzare, non le persone. Piuttoso, i migranti sono i più numerosi fra i malati di malaria perché più spesso e facilmente tornano nei Paesi dove questa malattia è endemica. Quindi sono i pazienti più a rischio, quelli più da monitorare e tutelare, insieme ai turisti e a chi viaggia per lavoro o per motivi religiosi (come i missionari).

«Per proteggere gli individui allora (e non la collettività, che non corre nessun rischio) - spiega ad Avvenire Salvatore Geraci, responsabile dell'area sanitaria della Caritas e presidente della Società italiana di medicina delle migrazioni (Simm) - occorre che in Italia si attivino sempre più spesso e con sempre maggiore competenza percorsi clinici di prevenzione e di riconoscimento della malattia».