Attualità

Inchiesta. Come le radio hanno affrontato il coronavirus in Francia

Fabrizio Carnevalini venerdì 24 luglio 2020

La Tour Eiffel, uno dei simboli della grandeur francese, è stata salvata dalla radio. Doveva essere abbattuta dopo vent’anni, ma venne ritenuta un’ottima antenna: nel 1906 iniziò a utilizzarla l’esercito, quindi la marina. Oggi è affollatissima (viene utilizzata da 32 radio) e gli affitti sono elevati, tanto che per coprire la città con il Dab le società di telecomunicazioni propongono dei siti alternativi

Dopo aver interpellato gli editori italiani (leggi l'articolo), abbiamo chiesto a quelli francesi di raccontarci l’impatto della pandemia sull’attività delle loro radio. L'indagine è stata condotta in collaborazione con Radio Reporter.

I due sistemi radiofonici sono diversi: in Francia operano circa 900 radio (dati CSA - Conseil Supérieur de l’Audiovisuel), il 6% in meno di quelle italiane (957).

Main Francia solo una su cinque è commerciale (circa 200, il 22%), mentre le altre 700 sono “associative” formula che prevede che una radio si mantenga con l’autofinanziamento e gli aiuti statali, con la pubblicità che non può superare il 20% dei ricavi (e alcune stazioni proprio non la prevedono).

In Italia invece i rapporti sono invertiti: il 65% delle stazioni (624) vive grazie agli introiti pubblicitari e per le 333 le comunitarie c’è solo una limitazione sulla quantità di spot da diffondere (il 10% l’ora, cioè 6 minuti: non pochi).

Il sondaggio è stato compilato da 97 emittenti, la maggior parte associative (83), delle quali 78 locali, 5 regionali, una multiregionale e una nazionale. Questo ci ha consentito di indagare su una realtà complementare a quella delle radio commerciali, già monitorata dal Sirti, il sindacato che le rappresenta. La risposta all’emergenza è stata analoga a quella delle radio italiane: anche oltralpe le radio si è reagito potenziando l’informazione, organizzando raccolte fondi e svolgendo un ruolo di coesione sociale.

Pubblicità (e incassi) dimezzati? Si “taglia”, ma solo nei grandi gruppi

La pubblicità si è mediamente dimezzata (-49%), un dato che riflette la situazione delle radio multiregionali (-50%); soffrono invece le commerciali (-72%) e le nazionali (-90%). Limitati i “danni” alle associative, che puntano meno sulle inserzioni: per loro il calo è stato del 24%. Il potenziamento degli spazi informativi è stato in media del 62% (54% in Italia), ma come avevamo osservato in Italia, le radio nazionali e i network hanno fatto molto di più, incrementando le news rispettivamente dell’85 e del 105%, rispetto al 63% delle associative.

Uno sforzo organizzativo non indifferente e sostenuto autofinanziandosi. Gli editori, grandi e piccoli, hanno retto l’urto senza ricorrere a licenziamenti: dalle piccole realtà alle radio nazionali, solo l’1,34% del personale è stato congedato (in Italia il 34%). Ma il 38% delle società ha chiesto la disoccupazione parziale, in particolare le radio multiregionali (55%). Associative e commerciali sono allo stesso livello (rispettivamente con il 40 e 41%), anche perché vengono gestite in media da 5 dipendenti e 40 volontari.

Per far funzionare i trasmettitori si spende il giusto

L’etere in Francia è pianificato dal Csa (Conseil Supérieur de l’Audivisuel) https://www.csa.fr/, e non si sprecano risorse inutili l’energia: le bollette della luce assorbono solo un quarto del budget annuale di un’emittente, mentre in Italia si arriva quasi al doppio (45%). A una eventuale riduzione della potenza degli impianti è favorevole solo una bassa percentuale degli interpellati (il 10%), che tuttavia vorrebbe applicarla a tutti i trasmettitori, anche quelli sotto i 100W. Riguardo alla durata della riduzione, il 54% ne limiterebbe la durata a tre mesi, mentre il 27% la vorrebbe mantenere per sempre.

Tante idee per ripartire ​

Abbiamo raggruppato per temi i suggerimenti degli editori, cercando di trasformarli in proposte delle quali dovranno farsi portavoce le associazioni.

Due radio su tre (66%) chiedono un bonus e un fondo di sostegno, ma sul resto delle misure c’è una netta distinzione tra le radio commerciali e quelle associative. Le prime chiedono aiuti finanziari, di alleggerire le tasse (o di eliminarle per il 2020 e 2021) e gli oneri sui salari. C’è chi punta il dito sui diritti d’autore e chi suggerisce al governo di prevedere un credito d’imposta per gli inserzionisti, per far ripartire la pubblicità (una misura prevista anche in Italia).

Le radio associative invece chiedono sovvenzioni eccezionali, l’incremento del Fser (Fonds de soutien à l'expression radiophonique locale) e forme di sostegno indirette, come la diffusione di messaggi di interesse generale (pagati dal governo) per far arrivare soldi freschi nelle casse ormai esangui. Ma anche soluzioni rapide, come diminuire la Tva (l'Iva francese). Insomma, tutto il mondo è paese, anche il fatto che (come era accaduto nell’analoga inchiesta italiana), solo un editore si sia dichiarato soddisfatto di quanto fatto finora dal governo per le radio.