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Idee. D’Agostino: la persona è la chiave per una bioetica della tecno-scienza

Laura Palazzani giovedì 5 maggio 2022

Francesco D’Agostino, morto a Roma il 4 maggio a 76 anni, ha indiscutibilmente segnato la bioetica, nell’ambito della discussione accademica, istituzionale e sociale, ponendo le basi concettuali di riferimento che certamente orienteranno anche la discussione futura. (Così lo ricorda Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, quotidiano del quale è stato a lungo editorialista). Presidente per due mandati del Comitato nazionale per la Bioetica (negli anni 1995-1998; 2001-2006), organismo di cui ha fatto parte dalla sua fondazione nel 1990, autore di numerose monografie e articoli specialistici, voce autorevole sui mass-media, è stato un protagonista di considerevole rilevanza della bioetica sin dal suo inizio. La sua sterminata ed eclettica conoscenza in ogni ambito del sapere, filosofico e non solo, e la sua curiosità intellettuale inarrestabile hanno consentito il suo costante contributo essenziale alla bioetica. La bioetica è stato un settore del sapere che lo ha sempre stimolato, anche per le continue sollecitazioni provenienti dalla concretezza reale, oltre che dalla discussione teorica. Emerge nei suoi scritti e interventi la consapevolezza di chi, confortato dalla fede, credeva fermamente nel valore della persona come soggettività riconoscibile in ogni essere umano, quale che sia la sua fase di sviluppo o condizione di esistenza.

E’ nell’orizzonte del riconoscimento del valore intrinseco della persona umana che D’Agostino ha elaborato la sua bioetica, che può dirsi cattolica e laica al tempo stesso: cattolica, nella consapevolezza teologica dell’esistenza di Dio, laica in quanto saldamente ancorata alla riflessione filosofica. D’Agostino si è sempre sforzato di elaborare su basi razionali argomenti confrontabili con teorie contrapposte, in una società pluralistica e secolarizzata.


In questo senso D’Agostino fa emergere «il carattere prioritariamente filosofico del discorso bioetico», come lui sottolineava sempre che, rispetto ad altre forme del sapere, non può pretendere «di trovare davanti a sé, già precostituito il proprio oggetto», ma si apre alla riflessione in modo “aperto”. Un pensiero, come amava definire, “spregiudicato” nel senso letterale di “privo di pregiudizi”. In questo senso D’Agostino era un riferimento autorevole per tutti i bioeticisti: apprezzato anche da chi, su basi libertarie o utilitariste, si opponeva fermamente alle sue posizioni. Il filo conduttore dei molteplici scritti di D’Agostino è la denuncia dei rischi di un uso della tecnica finalizzata alla affermazione della propria potenza contro l’uomo, insistendo sulla necessità di ritematizzare l’identità antropologica ai confini della vita umana che rischiano di essere assoggettati dalla tecnica.

È di D’Agostino la efficace ed incisiva formula, applicata all’embrione come “uno di noi”, mostrando la esigenza imprescindibile di un equilibrio tra le pressioni della scienza verso la sperimentazione e le istanze individuali per l’uso delle tecnologiche procreative rispetto alla dignità del nascituro. E’ sua la provocatoria affermazione del riconoscimento del significato del dolore e della sofferenza come “limite antropologico”, in una società che non vede altre strade di fronte alla malattia e alla morte che l’accanimento clinico, ossia fare di più di ciò che è possibile ad ogni costo, o la anticipazione eutanasia della morte, eliminando la vita per eliminare il dolore.

Con un approccio che caratterizza tutta la sua produzione filosofico-giuridica, D’Agostino ricercava nel pensiero classico le radici del presente, ritrovando le radice classiche della volontà di potenza tecnologica della contemporaneità, ricollegandola a «sogni (o illusioni) antichi» e ai miti greci che si richiamano all’intervento divino o alla potenza umana alla ricerca della hybris. D’Agostino identifica l’elemento che accomuna antichità, modernità e contemporaneità del progresso scientifico e tecnologico nel “rifiuto della natura”. Un rifiuto che nasce dalla non accettazione del limite e dalla ribellione al limite, che si esprime nella malattia, nel dolore, nell’invecchiamento, nella morte.

La possibilità offerta dalle conoscenze scientifiche e dalle applicazioni tecnologiche consentono nuove forme di manipolazione, di intervento, di modificazione della natura: emerge la tentazione di trasformare ciò che è dato. Se l’uomo, nell’era della tecno-scienza, lo può fare: “perché non dovrebbe farlo?”, questo l’interrogativo che risuona spesso in bioetica, anche di fronte alla incertezza delle nuove tecnologie convergenti. La vita umana, il corpo, la mente, divengono meri oggetti materiali plasmabili seguendo il desiderio di assoluta libertà o di convenienza.

A fronte di questi scenari, la bioetica non deve mai rinunciare a difendere “il limite”, secondo D’Agostino, e guardare avanti. Non deve mai chiudersi in verità predefinite e presupposte, ma deve sempre sapersi rinnovare. D’Agostino delinea lo “spirito nuovo” della bioetica, che da bioetica “difensiva” deve essere sempre una bioetica “propositiva”. D’Agostino ritiene che i bioeticisti debbano essere «creativi e propositivi, umili e coraggiosi»: non assumere paradigmi consolidati, ma trovare nuovi strumenti e promuovere con “intelligenza critica” nuove prospettive. Non una difesa del passato ma l’“instaurazione del futuro”.

È proprio la dimensione ’propositiva’ ciò che ha caratterizzato e caratterizza il contributo innovativo che D’Agostino, filosofo del diritto, ha offerto al pensiero bioetico, biogiuridico e biopolitico. Un contributo costante, incisivo, mai ripetitivo, sempre stimolante, a volte anche intenzionalmente provocatorio, animato da una curiosità intellettuale instancabile, ma anche da una generosità culturale che ci ha consentito e ci consentirà sempre di imparare, ci costringe a riflettere, ci sollecita a guardare al futuro. Mancherà immensamente a chi ha avuto il privilegio di incontrarlo nel proprio cammino, di imparare da un Maestro insostituibile, di bioetica e di umanità.