mercoledì 17 aprile 2024
Il portavoce del regime: come altri detenuti è stata fatta uscire di cella e trasferita in una casa come misura preventiva. L'ex premier e Nobel per la pace nel 1991 era in carcere dal 2021
L'ex premier birmana Aung San Suu Kyi mentre parla a un meeting internazionale del 2019

L'ex premier birmana Aung San Suu Kyi mentre parla a un meeting internazionale del 2019 - ANSA

COMMENTA E CONDIVIDI

Aung San Suu Kyi, Nobel per la Pace e “consigliera anziana” del governo prima della nuova presa di potere dei militari in Myanmar il primo febbraio 2021, è stata trasferita dal carcere ai domicliari. La motivazione indicata dal portavoce del governo militare, il generale Zaw Min Tun, è la volontà del regime di «proteggerla da colpi di calore come tutti coloro che necessitano di precauzioni particolari, soprattutto prigionieri anziani». Una “sensibilità” e una “benevolenza”, che – pur se sostenuta dal caldo intenso di questi giorni che sfiora i 40° - non si accordano con la repressione militare e le azioni indiscriminate contro la popolazione civile con cui la giunta cerca di piegare il Paese incontrando però resistenza armata, defezioni e boicottaggio.

Finora sono state inutili le iniziative per costringere Aung San Suu Kyi a accogliere la pretesa di “democrazia” dei generali, cooperando per arrivare a elezioni continuamente posposte per l’applicazione a più riprese della legge d’emergenza. Non sono bastati i molti processi con condanne finora a 27 anni di prigionia e la prospettiva di ulteriori pene fino, complessivamente, a oltre un secolo di detenzione a piegare la 78enne Nobel per la Pace. Al contrario, come confermato a febbraio dal figlio Kim Aris, il suo spirito è tutt’altro che piegato e la sua fermezza l’ha riportata ancora una volta all’attenzione internazionale. Esigenze climatiche e “umanitarie” a parte, gli arresti domiciliari per Aung San Suu Kyi potrebbero aprire a una nuova strategia, forse a un dialogo con le opposizioni finora rifiutato dalla giunta guidata dal generale Min Aung Hlain.

L’anziana “icona” della lotta nonviolenta per la democrazia potrebbe essere ora l’interlocutore indispensabile per un regime assediato in un Paese isolato se non per l’interesse di chi, a partire da Pechino e Mosca, nei rapporti con l’ex Birmania ha sempre ignorato i diritti dei birmani, privilegiando l’accesso alle imponenti risorse del Paese e la possibilità di affacciarsi su un’area di grande importanza strategica.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: