sabato 26 settembre 2015
​Falsi allarmi e disinformazione per un attacco esagerato. Lo scandalo non può mettere in discussione  un intero sistema.
Mueller guida Volkswagen: "Disastro politico e morale"
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Il paradosso ora è che chi guida, ad esempio, una Golf 2.0 a gasolio possa pensare di stare al volate di un’auto insicura. E magari inizi anche a vergognarsi un po’, nel timore di essere diventato con quella scelta la causa principale dell’inquinamento globale. Oppure che monti la convinzione che qualcuno stia tentando di ucciderci con queste terribili emissioni di NOx, fino a ieri sigla sconosciuta a chiunque, e oggi fonte di tutti i mali.  Anche se in realtà si tratta di ossidi di azoto, che non sono tecnicamente degli inquinanti, e derivano solo per il 10% sul totale dai motori a gasolio. E comunque non sono velenosi per l’uomo. Grazie ad allarmismi e informazioni distorte però, il “mostro” è già stato condannato. Si chiama diesel, è il carburante più diffuso in Italia (56% dei veicoli) e in Europa (53%) e dopo lo scoppio dello scandalo Volkswagen è già una specie di terrorista in libertà provvisoria. Prima e più ancora di chi lo ha fraudolentemente usato per i propri interessi.  Sull’onda di una truffa conclamata insomma, si sta scatenando una crociata anacronistica contro i motori a gasolio: che non sono certo (come tutti i propulsori termici) il massimo della sostenibilità, ma nemmeno i principali nemici dell’ambiente, grazie agli enormi investimenti messi in campo dal mondo dell’auto per rientrare nei parametri richiesti.  Volkswagen ha barato, e dovrà pagare a caro prezzo l’inganno. Ma più che di uno scandalo ambientale, il “dieselgate” è un colossale caso di truffa industriale. Che non merita di mettere in discussione l’intero sviluppo tecnologico che ha permesso di contenere le emissioni di sostanze come il particolato dei motori diesel, ridotto dal 1990 ad oggi di circa il 97% circa. Mentre mentre quelle relative agli ossidi d’azoto, rispetto ai limiti imposti dall’Euro 3, sono state abbassate del 84%.  Per comprendere la portata in termini di ricerca e investimento tecnologico del settore auto per la riduzione dei consumi (e di conseguenza dell’inquinamento), un semplice dato: nel 1998 una Volkswagen Lupo a gasolio, modello poco fortunato ma tra i meno dannosi per l’ambiente, aveva bisogno in media di 3,5 litri di gasolio per percorrere 100 chilometri. Oggi, appena 7 anni dopo, una Peugeot 208 - record assoluto sul mercato - ne consuma solo 2 per 100 km. Questi i dati ufficiali, che non rispondono come sappiamo a quelli reali, in condizioni di uso e traffico normali cioè, ma il divario tra le due epoche resta incontestabile. La domanda è se i diesel inquinano davvero più dei motori a benzina. Sicuramente sì quelli datati, ancora omologati Euro 1, Euro 2 o Euro 3 (cioè di vetture vendute fino al 2005). Dall’Euro 4 in poi, i progressi sono stati enormi. E gli attuali diesel Euro 6 (normativa in vigore dal settembre 2014 per tutti i nuovi modelli) sono praticamente nocivi tanto quanto quelli a benzina. Secondo la previsione del Gruppo Bosch, uno dei fornitori leader di sistemi di iniezione per auto, ma anche di mobilità e propulsioni alternative, «i motori a combustione interna rimarranno comunque la base per la mobilità efficiente almeno anche per i prossimi dieci dieci anni, e il progresso tecnologico del motore diesel è tutt’altro che terminato». Forse allora sarebbe davvero il caso di fare chiarezza. E di domandarsi dove porterà questo terrorismo psicologico. La posta in gioco è altissima e coinvolge anche chi grazie al gasolio vive, come - restando solo all’Italia - i 2.200 lavoratori della Bosch di Bari, dove vengono prodotti i sistemi common-rail. O gli operai della Saras, una tra le più importanti raffinerie di gasolio per autotrazione d’Europa. E più in generale la filiera nazionale dell’auto dove, su 40 miliardi di euro di fatturato complessivo, la componentistica esporta per 19,3 miliardi l’anno, di cui 4 miliardi circa in Germania e oltre 1,5 che arrivano dalla sola Volkswagen. La filiera italiana per il momento «non è preoccupata», dice il presidente dell’Anfia, Roberto Vavassori. Che confida nel fatto che «il caso finora riguarda solo veicoli fuori produzione. Quindi che non incidono sui volumi dei nostri componentisti. Ma è importantissimo che il perimetro di questo scandalo sia definito in maniera chiara e rapida».
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