mercoledì 18 novembre 2020
Sei milioni di civili fuggiti dalla guerra in Siria vivono nei Paesi limitrofi, tra tendopoli e accampamenti. La denuncia di Operazione Colomba: in Libano violazioni dei diritti e minacce
Una bambina siriana nel campo profughi di Ketermaya, a sud di Beirut, in Libano

Una bambina siriana nel campo profughi di Ketermaya, a sud di Beirut, in Libano - Reuters

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Con l’inizio del decimo inverno di guerra e il diffondersi della pandemia da Covid-19, per milioni di profughi e sfollati siriani la domanda non è solo come fare a sopravvivere, ma anche dove cercare riparo.

Sono oltre sei milioni, secondo le stime dell’Onu, i civili siriani che vivono nei Paesi limitrofi, divisi, in particolare, tra tendopoli, accampamenti e abitazioni di fortuna in Turchia, Giordania e Libano, in condizioni di grande precarietà.

Oggi Operazione Colomba, il corpo nonviolento di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, che dal 2014 vive assieme ai profughi siriani nei campi del nord del Libano, ha reso noti i contenuti del quarto Report sulla Violazione dei Diritti Umani dei profughi siriani in Libano.

“A che punto è la notte?”, questo il titolo del dossier (qui il documento completo), evidenzia il peggioramento delle loro condizioni di vita e la persistente mancanza di premesse sicure per un ritorno in Siria. Il Paese dei cedri, che conta quasi 1,5 milioni di rifugiati siriani - su una popolazione residente di circa 4 milioni di abitanti - già prima della pandemia era in default finanziario e tale situazione ha anche i profughi siriani, che, secondo l’Unhcr sono stati gravemente danneggiati anche dall’esplosione del 4 agosto 2020. Il numero di rifugiati siriani che attualmente vivono sotto la soglia di povertà è passato dal 50% al 75%.

Inoltre, nonostante il governo libanese abbia pubblicamente annunciato di offrire assistenza medica gratuita a tutti coloro che sono rimasti feriti a causa dell’esplosione, alcuni ospedali locali si sono rifiutati di prestare soccorso alle vittime siriane, mettendo in serio pericolo la loro salute.

“I volontari di Operazione Colomba - denuncia il report - hanno constatato come in diversi campi profughi la General Security libanese abbia minacciato di deportare in Siria tutti gli abitanti, in caso di contagio da Covid-19. Le pene in caso di violazione degli ordini restrittivi includono la confisca dei documenti e del permesso di residenza legale”.

A partire da luglio 2020, per far fronte alla crisi economica, il governo siriano ha imposto a ogni cittadino che rientra dall’estero di cambiare al tasso ufficiale 100 $ in lire siriane, perdendo così la metà della cifra.

“Operazione Colomba rinnova il proprio appello al Governo italiano, al Parlamento Europeo e alle Nazioni Unite, così come agli Stati membri, singole agenzie ONU e organizzazioni internazionali attualmente impegnate in Libano”, si legge nel documento, “affinché facciano pressione sul Libano per l’immediato rilascio dei prigionieri politici siriani e per il rispetto delle norme internazionali e del principio di non-refoulement (espulsione o accompagnamento al confine, ndr), come stabilito dall’articolo 3 della Convenzione contro la tortura di cui il Libano è firmatario”. Si chiede, inoltre, di “dimostrare a livello europeo e internazionale uno sforzo concreto per la soluzione politica della questione siriana e l’implementazione dei corridoi umanitari. L’ultima richiesta che si legge nel report è la “condanna della normalizzazione delle relazioni internazionali con il governo Siriano, finché non sarà trovata una reale soluzione politica”.

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