lunedì 29 aprile 2024
Dal cognome sui simboli dei partiti al nome di battesimo sulla scheda elettorale: un altro passo verso una politica sempre più personalistica
Giorgia Meloni

Giorgia Meloni - ANSA

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Dal cognome sui simboli dei partiti al nome di battesimo sulla scheda elettorale. Sembra davvero un altro, inequivocabile passo verso una politica sempre più personalistica, dove l’elettore s’identifica con il capo e tutto il resto passa in secondo piano. Per esempio la qualità degli altri candidati o il programma.

Dare un cognome a un partito, a un’idea, tra il 1946 e il 1992 sarebbe stato impensabile, roba da marziani della politica. Se non altro perché un cognome la politica italiana ce l’aveva avuto per 20 anni ed era coinciso con una tragedia della storia. Ma anche perché i partiti si identificavano con una visione del Paese e del mondo, prendendo linfa dalle grandi culture politiche: cattolico democratica, comunista, socialista, repubblicana, azionista, liberale. Da liberali, a sinistra, si schieravano i radicali, ma nel 1992 fu proprio Marco Pannella a fare la prima mossa, presentando alle elezioni politiche la Lista Pannella. Poi arrivò Silvio Berlusconi, che il partito lo sfornò ex novo e applicò alla politica le regole del marketing.

Tutti lo seguirono sulla via della personalizzazione. Tutti o quasi, ma negli ultimi giorni ha vacillato perfino la segretaria del Pd Elly Schlein. Lei, che era uscita dal Pd contro la “deriva leaderistica” di Matteo Renzi, è stata tentata di fare ciò che nessun segretario dem ha mai fatto: mettere il suo cognome nel simbolo. Non accadrà solo perché gran parte del partito si è opposta.

Fatto sta che alle prossime europee saranno candidati tanti leader di partito che poi, anche se eletti, non andranno a Strasburgo. L’elettore lo sa, ma in questa epoca di politica-tifo il capo fa sempre la differenza, è un valore aggiunto. Quando poi, come se la cabina elettorale fosse un social, puoi permetterti addirittura di dare del tu alla presidente del Consiglio, limitandoti a scrivere soltanto il nome, il valore raddoppia. È più affidarsi, che scegliere. Più lasciar decidere che decidere. Non che sia una novità, beninteso. Però stavolta si va ancora un po’ oltre, forzando un po’ il meccanismo del ”detto” , che si è sempre usato per non invalidare le schede quando il candidato era noto ai più con un nome diverso da quello che aveva all’anagrafe.

Nel caso di Giorgia Meloni, invece, il “detta” coincide esattamente con il nome già conosciuto da tutti. Basterà quel nome. E il voto sarà senz’altro valido. Ma è sulla validità della politica, in generale, che varrebbe la pena d’interrogarsi seriamente.

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