Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, cammina attraverso i saloni di Palazzo Chigi. - Ansa
Un silenzio cercato e ostinato. Conte ha in mente un film diverso da quello che hanno in testa Renzi, Zingaretti e Di Maio. La sceneggiatura prevede lui lì fermo al centro, muto al timone di una nave che però fa pochissime miglia al giorno e, intorno, gli altri leader della maggioranza che si dimenano nella crisi, disegnano e cancellano scenari dieci volte al giorno. Un silenzio anche necessario, però, a suo parere. Perché il premier resta convinto di un dato politico di fondo: Renzi vuole il suo scalpo. Dire ora «prendiamo il Mes», «cambiamo il Recovery », «diamo la delega sui Servizi a un sottosegretario » servirebbe solo a consegnare un altro round al leader di Italia Viva, che si sentirebbe legittimato ad alzare la posta senza imbattersi in chissà quale resistenza di Pd e M5s. Meglio tacere, prendere tempo. E tenere aperti tutti gli scenari. Il primo, innanzitutto, il Conteter. Al pressing per le dimissioni, il premier risponde con una controproposta: «Prima facciamo un accordo preventivo». Un patto blindato, con esposizione pubblica soprattutto di Matteo Renzi. Dopo il quale Conte salirebbe al Colle da 'pilota' della crisi. Ma il leader di Iv non si schioda: prima si chiude il Conte 2, poi si vede... Metodi che collidono e creano lo stallo. Con il premier che rinvia ma non archivia - il vertice politico e il Cdm sul Recovery fund, Renzi che tiene in tasca le dimissioni di Bellanova e Bonetti sino a quando Conte non fa la prima mossa.
Il Piano di rilancio, in questo contesto, è un chiodo cui appendere speranze e alibi. Mostra che una maggioranza c’è ancora, che una trattativa c’è ancora. Il ministro Roberto Gualtieri ha completato il lavoro, ha messo a nota le tante richieste dei partiti ed è pronto a consegnare stamattina il maxidocumento a Palazzo Chigi. Il premier ora lo studierà e deciderà cosa fare: convocare i leader, vedere i capigruppo di maggioranza, convocare il Cdm. O rinviare ancora. A domani, al fine settimana, chissà. Se con Renzi torna un minimo di fiducia, allora questo nuovo
Recovery 'impastato' al Mef senza cybersicurezza e con più soldi alla Sanità (da 9 raddoppiano fino a 18, potenziati anche infrastrutture sociali, istruzione, cultura), integrato da un’apertura al mini-Mes (10-12 miliardi anziché 36), tornerà utile a 'fondare' il Conte-ter. Diversamente, sarà la prova che lui le ha provate tutte, ma che Renzi voleva solo buttarlo giù.
Scenario al quale Conte, ovviamente, non ci sta. Perciò, mentre non spezza il filo del 'ter', continua a lavorare con i 'responsabili'. Gli emissari del premier al Senato sondano umori, imbastiscono relazioni. «Ne mancano 5-6» a Palazzo Madama, dice chi crede nella 'conta' e in qualche modo spera che il Conte 2 possa proseguire senza Renzi. «Altrimenti si vota, anche Pd e M5s lo dicono », spiegano i contiani senza crederci però troppo.
Il punto è che questa strategia non piace chissà quanto al Pd. E nemmeno ai pentastellati: in tanti temono che la conta al Senato la vinca Renzi, e allora tra i 5s, sicuramente i meno interessati alle urne, si aprirebbe una crisi enorme sul tema del 'se' e del 'come' far continuare la legislatura, a meno che non decolli l’ipotesi Di Maio.
Non è un caso che il ministro degli Esteri sia tornato ieri a far sentire la sua voce, avvertendo sui rischi di elezioni anticipate: «Rischieremmo di non completare i piani del Recovery fund. Io sono ottimista, prevalga la responsabilità, mettiamo le cose a posto...». Sembra un messaggio a Renzi, ma lo è anche a Conte, a ben vedere.
In realtà tutti, anche Conte, si muovono nella consapevolezza che il voto anticipato non ci sarà, data la situazione dei gruppi parlamentari e data la 'tagliola' della riduzione del numero dei parlamentari. Perciò tutti si sentono autorizzati a tirare la corda. Il punto è che bisogna guardare con attenzione anche i segnali intorno alle forze di maggioranza. Non ne arrivano molti e chiari, in realtà. Uno, ieri, è spiccato tra gli altri. Quelli di 'Cambiamo', la compagine che fa riferimento al governatore ligure Giovanni Toti.
I tre senatori e i 5 deputati totiani (a Palazzo Madama sono Berruti, Quagliariello e Romani) hanno siglato un documento per esprimere disponibilità a un governo di «salute pubblica». I renziani prendono nota e li indicano come i primi 'responsabili' ingaggiati da Palazzo Chigi. In realtà, a leggere le parole di Toti e dei firmatari, sembra una mossa che guarda al post-Conte.