mercoledì 24 aprile 2024
L'ad dei campioni d'Italia vive di calcio da quando aveva 19 anni e faceva il mercato per il Varese Prima di conquistare la seconda stella ha fatto le fortune di tanti club e della Juventus dei record
L'ad dell'Inter Beppe Marotta con il presidente dei nerazzurri Steven Zhang

L'ad dell'Inter Beppe Marotta con il presidente dei nerazzurri Steven Zhang - ANSA

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Se ci fosse il Pallone d’oro per i dirigenti, nell’ultimo decennio allora quello spetterebbe di diritto a Beppe Marotta che lo avrebbe vinto per distacco netto su tutti, tranne che sul suo maestro, AdrianoGalliani,80annienonsentirlispecie ogni volta che vince il Monza. Ma qui celebriamo il suo degno erede, il campione d’Italia e costruttore unico della creatura vincente chiamata Internazionale Fc. La seconda stella (20° scudetto nerazzurro) ora è a sinistra, cucita al petto dei ragazzi di Simone Inzaghi. Ma la terza stella in pectore in seno alla società della dinastia cinese degli Zhang è lui, Beppe Marotta. E ahivoglia i detrattori, gli antinteristi ad attaccarloconicorioffensiviperviadell’occhio in fuorigioco (»dove c… guarda Marotta? », slogan da Daspo) o a parlare da complottisti di Serie A alias «la Marotta League» e di uomo di potere che gli scudetti e le coppe le vince standosene comodamente seduto alla scrivania. Non stiamo parlando di una maschera moggesca e neppure di un figlioccio dell’allodismo. Il Beppe da Varese, classe 1957, era un predestinato.

Beppe da Varese, il predestinato a diventare il "re del mercato"

Non si può definire altrimenti uno che diplomato al Liceo Classico Cairoli, a 19 anni, al sabato invece di giocare a calcio con gli amici passava l’intera giornata ad occuparsi di tutte le partite del settore giovanile del Varese. Alla domenica poi, dalla tribuna dello stadio Ossola, il ragazzo dal ricciolo alla Memo Remigi studiava il “caos organizzato” dei biancorossi di Eugenio Fascetti e metteva ordine nel suo taccuino, annotando tra le pagine chiare gli appunti da aspirante giornalista sportivo e a margine, in controluce, i primi nomi delle segnalazioni da talent scout in erba. Leggenda, ma nemmeno troppa, vuole che il primo capolavoro di mercato lo fece portando a Varese Michelangelo, Rampulla, futuro portiere goleador scovato nel dilettantismo siciliano, alla Pattese. Da Varese si sposta al Monza dove il suo vero faro professionale, l’antennato Adriano Galliani, aveva lasciato l’impronta sui brianzoli per passare alla costruzione del grande Milan di Silvio Berlusconi (salvo tornare assieme al Cavaliere per portare il Monza in A). Il primo titolo di una bacheca traballante per il peso dei trofei vinti Marotta lo conquista proprio con il Monza, Coppa Italia di C1 stagione 1987-’88. Poi piccoli miracoli di provincia, a Como e Ravenna e la chiamata del vulcanico Maurizio Zamparini a Venezia per inseguire l’utopia: riportare la Serenissima in Serie A. Cose che in Laguna allora non accadevano dai tempi di Valentino Mazzola. Breve sosta all’Atalanta che non era ancora tempo di sperimentazioni alla Gasperson, mentre quelle erano possibili nel serbatoio tecnico e petrolifero dei Garrone, alla Samp. Roba da Paz, ovvero mettere assieme Pazzini con l’ex galattico Cassano che al Real Madrid aveva lasciato sul prato del Bernabeu solo le cartacce delle merendine trangugiate alla faccia di Don Fabio Capello.

Gli anni d'oro alla Samp e la Juventus dei record con Conte e Allegri

A Marassi, sponda doriana torna il “FantAntonio” di Bari Vecchia e della Roma, che fa piangere strappandogli lo scudetto. Idealmente quello fu il primo tricolore che Marotta consegnò all’Inter: stagione 2009-2010, all’Olimpico l’1-2 della Samp contro la Roma di sir Claudio Ranieri che chiuse al 2° posto a due punti dai nerazzurri di Mourinho (82 a 80). La Samp marottiana con quel successo si piazzò quarta e volò in Champions. E allora un ds del genere doveva diventare un direttore generale al comando delle truppe più ambiziose e potenti del calcio italiano, quelle della Vecchia Signora. Peccato che l’Avvocato Gianni Agnelli non abbia fatto in tempo ad accogliere quest’uomo che incarna lo “stile”, e non solo quello Juventus. Ne ha beneficiato suo nipote, il superleghista europeo Andrea Agnelli, che grazie alla sapienza di Marotta ha riportato la Juve agli antichi fasti del club di famiglia. Il primo scudetto nel 2012, dopo nove anni di digiuno con in mezzo una stagione all’inferno della B (causa calciopoli, leggasi moggiopoli), arriva con Antonio Conte in panchina. Una squadra disegnata per restare imbattuta, difesa granitica con i campioni del mondo Grosso e Barzagli e i due corazzieri azzurri Bonucci e Chiellini, centrocampo illuminato da Pirlo (preso a parametro zero dal Milan) e Del Piero, e davanti una triade non stellare con Pepe, Vucinic e Matri (Borriello in panca) a portare tanto fieno in cascina. Poi fece arrivare l’altrosvincolato,l’ApacheTevezeilgioiello francese Pogba presoperuntozzo di pane con foie gras - come fece Boniperti con Platini - per poi rivenderlo al Manchester United per 105 milioni, investendone 90 per Higuain dal Napoli. La Juve di Marotta è da record in tutto: quattro double nazionali vinti e due finali di Champions, entrambe raggiunte e perse da Max Allegri che è ancora lì sulla panchina bianconera grazie alle fondamenta messe da mastro Beppe. Il quale si congeda dopo aver portato Cristiano Ronaldo in bianconero per andare a fare le fortune dell’Inter.

La grande stagione nerazzurra con la seconda stella e un futuro da "politico"

Arriva Milano prima del Natale del 2018 e trova l’Inter in mano a Luciano Spalletti. Gli Zhang lo nominano amministratore delegato e il Beppe studia nuove strategie di mercato. Dal Manchester United prende Lukaku per 74 milioni (rivenduto al Chelsea per 115 milioni) il bomberone pallino fissodell’altro“Fantantonio”, Conte,alquale non può che affidare la panchina nerazzurra. C’è chi dissente e accusa Marotta di essere la spectra della Juve, venuto a bruciare la Pinetina per continuare a far vincere gli Agnelli. E anche la scelta di Conte non è il massimo per il popolo interista, in quanto“uomo-Juve”.Machivincehasempre ragione. Conte riporta lo scudetto in casaInterdieciannidopoil triplete diMourinho, (perdeunafinalediEuropaLeague) e come alla Juve se ne va perchè pensa che non si possa sedere a cena con 10 euro nel ristorantestellato, echeprenderelaseconda stella a breve sarebbe stata un’impresa quasi impossibile. Ma Marotta sa che nulla è impossibile. Tipo scommettere su Simone Inzaghi che rompe con la Lazio di Lotito e sposa il progetto Internazionale. Regala uno scudetto al Milan, ne vede vincere uno al Napoli all’ex nerazzurro Spalletti e alla terza canta l’inno di Mameli e si vesteditricoloredopounannosolareincui hasfioratoancheiltitolodicampioned’Europa: Champions persa, ma a testa alta, contro il Manchester City di Pep Guardiola. Con Inzaghi,Marotta ha aperto un nuovo ciclo vincente che per lui scadrebbe a giugno 2027. E a quel punto, a 70 anni, dopo mezzo secolo passato a inseguire sogni da regalare ai padroni del vapore, il Beppe daVaresepotrebbepuntareadaltrepoltrone. L’uomochesussurraicavalligiustiaicinesi non lo dice, ma in cuor suo sogna la presidenzadellaFedercalcio.Elasceltasarebbe vincente, perché siamo di fronte al Mario Draghi del calcio italiano. Il marottismo da sempre è fedele alla sua legge finanziaria: spendo meno e vinco più degli altri. Uno capace di far diventare il Dragone bistellato e bicampione d’Italia ha carta bianca, una volta che deciderà di lasciare la causa nerazzurra. Quanto a questa Inter, sempre sulla carta, ha ancora tre anni di governo Marotta per tentare di diventare anche padrona d’Europa e del mondo. Nel frattempo il Pallone d’oro dei dirigenti anche quest’anno lo ha vinto lui, Beppe da Varese.

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