mercoledì 3 settembre 2014
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​«Si direbbe che in Italia le questioni di rilevanza bioetica vengano gestite nei tribunali anziché nelle appropriate sedi legislative; e ciò accade, sovente, a causa delle lungaggini della macchina politica e burocratica. Ora, dopo la sentenza della Corte Costituzionale, è doveroso che al più presto vengano date norme sicure che regolamentino la questione su tutto il territorio per evitare il Far west, le derive eugenetiche e l’instaurarsi di un subdolo mercato procreativo animato dalla "patologia del desiderio" e dalla logica del figlio a tutti i costi». L’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia interviene sui temi della fecondazione eterologa, inquadrando le questioni nel più generale contesto delle politiche familiari in Italia; lo fa con una intervista che appare sul settimanale diocesano "La voce del popolo" in edicola oggi, sottolineando che, al di là delle questioni legislative e organizzative, c’è un «quadro di valori» che non si può dimenticare: «La generazione di una persona – dice – non può essere confusa con la produzione di un oggetto fatto a dimensione dei propri bisogni e della propria insaziata sete di genitorialità». Il problema non è, in materia di vita e di generazione della vita, di sperimentare tutto quanto la scienza rende possibile, ma piuttosto di dare un senso e un "valore" condiviso alla vita come al desiderio di genitorialità: «Nessuno – ricorda Nosiglia – può sottoporre la venuta al mondo di un bambino a delle condizioni di efficienza tecnica valutabili secondo parametri di controllo e di dominio», facendo riferimento al magistero recente della Chiesa ("Donum vita" e "Dignitatis personae"). Ma il ragionamento dell’arcivescovo di Torino si allarga a considerare il tema della fecondazione eterologa nel contesto più ampio della realtà familiare italiana: un "mondo" che avrebbe invece grandi risorse da offrire, se opportunamente incoraggiate e incentivate, per quanto riguarda l’adozione, e anche le forme di affido già previste dalla legge. Non si può dimenticare, sottolinea Nosiglia, «che un figlio non è qualche cosa di dovuto e non può essere considerato come oggetto di proprietà: è piuttosto un dono, il più grande e il più gratuito del matrimonio, ed è testimonianza vivente della donazione reciproca dei suoi genitori. Non esiste, come invece si vorrebbe far credere, un diritto al figlio». L’arcivescovo riserva una riflessione anche ai recenti casi di adozione da parte di coppie omosessuali. «La sentenza che ha permesso questo tipo di adozione è preoccupante sotto due profili: quello giuridico perché la magistratura dovrebbe applicare le leggi e non sostituirsi ad esse. In secondo luogo questa sentenza non tiene in alcun conto il diritto primario di un bambino di rapportarsi nella sua crescita a un padre e una madre, soggetti insostituibili nella vita di un figlio».È l’intera "cultura della famiglia" che va ripensata nel profondo e rimessa in gioco. L’arcivescovo. Nosiglia collega direttamente le tematiche della fecondazione eterologa (e più in generale della bioetica) allo scenario culturale complessivo, in vista di quell’appuntamento importante che è il convegno ecclesiale nazionale di Firenze nel 2015  – l’arcivescovo di Torino è il presidente del Comitato preparatorio – . «Di quale umanesimo oggi abbiamo bisogno? Gli umanesimi imperanti nella cultura attuale ci mettono di fronte a una serie di aspetti problematici e devastanti perché lesivi spesso della integrità dell’essere uomo nelle sue radici naturali e sociali. È una cultura succube dell’individualismo, attenta sempre ai diritti e mai ai doveri. Con essa bisogna nondimeno confrontarsi lucidamente e serenamente perché non mancano, anche in tali contesti, interrogativi e appelli che possono spingere a riscoprire la ricchezza dell’umano così come traspare in Gesù Cristo, senza darlo per scontato, ma facendolo rivivere nelle sue potenzialità più vere e affascinanti che indicano la direzione di marcia per una piena, vera, libera e responsabile umanizzazione».
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