giovedì 20 ottobre 2016
Ovociti artificiali, le domande da farsi
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Continua la ricerca per la produzione in laboratorio di gameti, e continuano gli interrogativi. Questa settimana Nature ha pubblicato il lavoro di un gruppo di ricercatori giapponesi, guidati da Katsuhiko Hayashi, della Kyushu University a Fukuoka, che hanno ottenuto ovociti di topo interamente maturati in vitro. Negli studi precedenti era stato necessario completarne la crescita in vivo: gli ovociti prodotti in laboratorio, ancora immaturi, erano stati impiantati nelle ovaie di adulti per consentirne lo sviluppo completo. Stavolta invece gli studiosi hanno realizzato l’intero ciclo di maturazione dei gameti in provetta, formando ovociti che, fecondati in laboratorio e trasferiti nelle cavie, hanno fatto nascere 26 piccoli di topo, apparentemente sani e fertili. Indubbiamente il risultato raggiunto è importante, e gli stessi ricercatori ne hanno sottolineato i limiti: gli ovociti prodotti artificialmente sono spesso di bassa qualità, tanto che solo il 3,5% degli embrioni prodotti dalla loro fecondazione ha dato origine a piccoli di topo. Secondo gli studiosi ci vorrà ancora molto tempo prima di trasferire questi risultati negli esseri umani, per la sintesi di gameti artificiali (anche se alcuni esperti del settore, attivisti della comunità Lgbt come Jacob Hanna del Weizmann Institute of Science in Israele, già parlano di ottenere gameti femminili da cellule somatiche maschili). Ma l’eventuale passaggio agli umani chiede di superare un enorme ostacolo, che precede le grandi problematiche etiche sulla produzione artificiale dei gameti. Per quanto ne sappiamo adesso, come spiegato anche nello studio di Hayashi, il criterio per verificare se e quanto questi ovociti artificiali funzionino è quello di fecondarli, trasferire gli embrioni nell’utero di madri surrogate e verificare che i nati e i loro discendenti siano sani. Questo è stato fatto per i topi e questa è, adesso, l’unica strada per replicare lo stesso esperimento negli esseri umani: produrre gameti umani in vitro e far nascere bambini. L’esame dei gameti in provetta non basta per verificarne la funzionalità, così come non lo sarebbe quello sugli embrioni ai primi stadi di sviluppo. Dobbiamo essere consapevoli che è questo il vero collo di bottiglia delle ricerche che vanno a manipolare geneticamente, o a produrre artificialmente, i gameti (comprese le tecniche di gene editing, le forbici molecolari che possono "tagliare e cucire" il Dna) : per trasferire il tutto sugli esseri umani e verificarne l’efficacia, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, dovremmo essere disposti a far nascere bambini anziché topi. Un percorso improponibile, e almeno su questo tutti si dicono d’accordo. Ma purtroppo le cose non stanno proprio così, perché per manipolazioni genetiche meno complesse ma altrettanto critiche già si sta andando oltre: basti pensare ai bambini con il Dna di "tre genitori". Ne è nato uno in Messico e pare ci siano altre due gravidanze in corso in Ucraina, mentre la Gran Bretagna, che ha sdoganato la procedura a livello legale – e quindi ha l’enorme responsabilità di averla legittimata –, ancora non ha dato il via libera alle cliniche perché non ci sono le condizioni necessarie di sicurezza sanitaria per i nati. Cioè: mentre la comunità scientifica e medica internazionale lancia allarmi sui gravissimi rischi a cui vanno incontro malati disperati che si affidano ai cosiddetti "viaggi della speranza" in Paesi dove le regole latitano, tutto tace (quando addirittura non ci si congratula) se negli stessi Paesi si fanno nascere bambini con procedure sperimentali spericolate, vietate laddove le regole ci sono.

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