martedì 21 giugno 2016
Euro2016, la dura legge della SICUREZZA
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I timori purtroppo sono stati rispettati. Prima l’uccisione dei due agenti francesi a Parigi, poi l’allarme su foreign fighters pronti a infiltrarsi in Francia in possibile concomitanza con l’arrivo di un carico di esplosivo denunciato dai servizi segreti ucraini, infine il pacco sospetto allo stadio di Bordeaux e le perquisizioni a tappeto della polizia belga per fermare il rischio attentati nella folla intenta a seguire Belgio-Irlanda davanti ai maxischermi nel centro di Bruxelles. C’è tutto il campionario delle previsioni della vigilia per le possibili azioni di terrorismo a margine degli Europei 2016: dai lupi solitari all’obiettivo di colpire indiscriminatamente la folla. È in particolare quest’ultima la minaccia sulla quale si stanno concentrando gli esperti di sicurezza. Dalla tragica serata del 13 novembre, con le esplosioni nei dintorni dello Stade de France, la capacità di prevenire attacchi agli eventi sportivi è diventata materia sulla quale si concentrano think tank e riviste di settore: una di queste, “World Security Report”, ha pubblicato ad aprile un articolo della società G4S Risk Consulting che suggerisce alcuni rimedi. Per allontanare i rischi diventa fondamentale gestire in modo oculato afflusso e deflusso dagli stadi. Una contromisura è quella di favorire l’ingresso degli spettatori in anticipo: in questo modo la gente non si accalcherà all’ultimo minuto evitando di diventare un facile bersaglio. Le persone vengono ritenute al sicuro dentro gli stadi, più esposte invece nella fase di avvicinamento. Così l’intrattenimento prima dell’evento, spesso considerato soprattutto una situazione da sport spettacolo all’americana e valutato con scetticismo dagli appassionati europei, si trasforma in un deterrente nei confronti del terrorismo. In quest’ottica si analizza anche il modo di controllare i flussi per spezzare la fiumana umana e scoraggiare i potenziali terroristi. Negli studi dei centri specializzati si trova spesso la terminologia soft “ hostile vehicle mitigation” (HVM): si tratta dell’utilizzo di veicoli mobili che possono fungere da barriera nei confronti dei terroristi, ma anche da diversivo per creare un’interruzione alla coda diretta verso l’evento che così diventa un bersaglio meno controllabile. Impressiona sentire parlare di questi termini per un evento sportivo considerato che gli HVM sono quei dissuasori metallici posti a protezione di ambasciate, basi militari e obiettivi sensibili nelle zone calde del pianeta. Ma questa ormai è la realtà dei fatti: gli eventi sportivi di prima fascia – Mondiali, Europei, Olimpiadi, Champions League o Sei Nazioni di rugby (la partita inaugurale del 6 febbraio scorso a Parigi è diventata oggetto della più massiccia azione di sicurezza mai effettuata in Francia a margine di un incontro sportivo) – sono diventati momenti di massima allerta. Gli esperti del settore invitano ogni organizzatore a dotarsi di personale dotato di nozioni di crowd management, ovvero gestione della folla. Un altro paragone che torna spesso è quello tra stadi e aeroporti, non solo per i livelli delle misure di sicurezza ma anche per il consiglio rivolto ai tifosi di presentarsi ai cancelli in largo anticipo proprio come prima di un volo. Leggendo questi report è facile capire che qualcosa di simile sia stato messo in pratica in modo intelligente prima della finale di Champions League a San Siro: l’accesso dei veicoli allo stadio milanese era regolato da numerose barriere presidiate dalle forze dell’ordine e in centro città non era prevista la proiezioni su maxischermi. Tra due settimane, archiviato l’Europeo francese, l’attenzione si sposterà verso le Olimpiadi del Brasile. A un recente dibattito all’Ispi di Milano il professor Marco Lombardi dell’Università Cattolica, esperto di tematiche legate alla sicurezza, ha dichiarato di non improtesta maginare un grande attentato a margine del torneo francese ma al massimo di temere altre azioni di “lupi solitari”. Previsioni simili vengono formulate dagli specialisti per i Giochi di Rio. La presenza jihadista in Brasile viene ritenuta poco significativa anche perché il Paese non ha un ruolo da protagonista nel “grande gioco” mediorientale degli ultimi anni. Il timore però esiste e viene rintracciato in questi elementi: possibile saldatura tra movimenti di sociali e lupi solitari dell’islamismo radicale impegnati nel proselitismo nelle aree più disagiate delle metropoli, difficoltà a controllare i 14.700 chilometri di confine del Brasile e particolare porosità della famosa area dei tre confini con Paraguay e Argentina dove si trova Ciudad del Este, in passato base sudamericana del movimento Hezbollah. Senza dimenticare il tweet del presunto miliziano francese di Daesh Maxime Hauchard che lo scorso novembre dopo i fatti di Parigi ha scritto: «Brasile, sei il nostro prossimo obiettivo». Ma il bilancio stesso dei fondi destinati alla sicurezza per Rio 2016 dimostra che il pericolo sembra inferiore: 195 milioni di dollari. Erano stati 870 a Londra nel 2012, 1,2 miliardi ad Atene nel 2004 (dove, come ha ricordato Novella Calligaris all’Ispi, gli Stati Uniti pretesero il dispiegamento della contraerea per timore di altri 11 settembre), 1 miliardo a Vancouver nel 2010 e 3 miliardi a Sochi nel 2014. Saranno però 85mila gli agenti impiegati, il doppio rispetto a Londra. Non mancano gli analisti che criticano questo eccesso di personale rispetto al deficit di fondi stanziati a favore di intelligence o strumenti tecnologici. È un dibattito al quale purtroppo lo sport non può più sottrarsi.
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