venerdì 5 febbraio 2016
La Farnesina attende istruzioni per i consolati. Intanto i tribunali assolvono.
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Il problema è tra quelli che più impegnano i senatori in questi giorni: la cosiddetta stepchild adoption favorisce l’utero in affitto. Qualcuno sostiene che non sarebbe vero, e ricorda come un’eventuale approvazione del ddl Cirinnà non rimuoverebbe il vigente divieto di maternità surrogata. Ma cosa succede (quasi) sempre quando qualcuno espatria per 'ordinare' un bebè in un Paese che consente la 'gestazione per altri' è sotto gli occhi di tutti: una volta rientrati in Italia, l’ufficiale di stato civile trascrive il certificato di nascita. E quand’anche le Procure avviano a carico dei genitori committenti un procedimento penale i giudici assolvono. Risultato pratico: l’utero affittato (all’estero) produce i suoi effetti come se fosse totalmente legale (in Italia). Come è possibile? Semplice: il divieto di maternità surrogata, previsto dalla legge 40 del 2004, sanziona cliniche e medici che dovessero dar corso alla surrogazione di maternità sul territorio italiano. Nulla dice su chi ha ordinato il figlio alla madre in affitto. Ecco allora che quanti desiderano prenotare un bambino espatriano in un Paese che consente questa pratica. Si rivolgono a una struttura. Pagano. Scelgono con quale seme e quali ovociti ottenere l’embrione. Contemporaneamente – sempre aiutati dalla struttura sanitaria – selezionano pure la donna che condurrà la gravidanza. Ottenuto il bimbo, versano il saldo e se ne vanno.  Tappa successiva, il Consolato italiano: la coppia committente (formata da persone di sesso diverso o uguale) mostra il certificato di nascita ottenuto secondo la legge del Paese estero e chiede che sia inviato per la trascrizione al proprio Comune di residenza. I funzionari consolari, se temono che il bimbo provenga da maternità surrogata, applicano le istruzioni loro fornite dalla Farnesina, su indicazione del Viminale, nell’agosto 2011: inviare comunque il certificato, ma avvisare la Procura della Repubblica competente per territorio. Ma, come detto, gli inquirenti non possono dimostrare facilmente il reato di maternità surrogata: la clinica è all’estero, e i 'committenti' – sulla scorta del dettato normativo – non sono punibili. Ecco allora che la pubblica accusa contesta solitamente l’alterazione di stato civile di minore, ma altrettanto spesso i giudici assolvono. Conseguenze pratiche: l’utero in affitto produce i suoi effetti, e chi vi ha dato corso rimane impunito. Su questo snodo si propone di intervenire un emendamento al ddl Cirinnà proposto dal senatore 'cattodem' del Pd Gianpiero Dalla Zuanna: mantenere la stepchild, ma inserire nel disegno di legge una doppia norma che da una parte punisca «chiunque, al fine di accedere allo stato di madre o di padre, fruisce della pratica di surrogazione di maternità » e che, dall’altra, impedisca la trascrizione del certificato di nascita «se non risulta provata la sussistenza del rapporto di filiazione biologica tra il nato e almeno uno dei genitori risultanti dall’atto di nascita». Lo si intuisce: se questo emendamento fosse recepito nella futura legge i funzionari consolari vedrebbero ulteriormente accresciuta la loro responsabilità in materia. Ma attenzione: il Ministero dell’Interno – in risposta al pressing di Avvenire – il 4 giugno 2014 faceva sapere che, dopo «le recenti sentenze del Tribunale di Milano (tra i primi ad assolvere i 'committenti surroganti', ndr), le istruzioni date ai consolati avrebbero potuto cambiare. Non si sa come. Testuali parole: «Poiché trattasi di questione delicata, la stessa costituisce attualmente oggetto di ulteriore approfondimento e in particolare della predisposizione di una richiesta di parere al Consiglio di Stato». Ma è passato oltre un anno e mezzo, e al supremo organo amministrativo non risulta giunto dal Viminale quesito alcuno.  Lo scorso 7 gennaio era stato un funzionario a condurre il controllo. Ora la ricerca telematica sul portale www.giustiziaamministrati-va. it non ha dato esiti diversi. Nel frattempo, il Viminale è stato da noi più volte interpellato telefonicamente e via email. Dopo una risposta ufficiale di metà dicembre 2014 – «non abbiamo riscontri ulteriori» – diversi solleciti nell’ultimo mese, dal 23 gennaio anche presso l’entourage del ministro Angelino Alfano, non hanno sortito esito. Nonostante le assicurazioni verbali, nessuno ha chiarito il 'giallo' della richiesta di parere al Consiglio di Stato annunciato dall’Interno ma finora non pervenuto alla magistratura destinataria. Nel frattempo, la Farnesina fa sapere che «non c’è nulla di nuovo» rispetto alla prassi indicata nel 2011. E l’ambasciata italiana a Kiev – l’Ucraina è una delle mete preferite dal turismo procreativo italiano – lo ha ufficialmente confermato ad Avvenire: «Qualunque sospetta violazione in tale materia – si legge in una nota ufficiale – costituisce ipotesi di reato e oggetto di segnalazione alla competente Procura della Repubblica». Procedimento vano, se poi i giudici assolvono.
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