giovedì 29 maggio 2014
​I dati del rapporto Europol: estremisti religiosi, populisti e xenofobi sono le nuove minacce. Preoccupa il fenomeno dei giovani che rientrano dalla Siria dopo aver combattuto. (Vincenzo R. Spagnolo)
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Il crescere dei radicalismi che conducono al terrorismo violento è un processo graduale, non avviene certo in una notte. In tempi in cui movimenti populisti e xenofobi impazzano in Europa, è importante ricordarlo...». A pochi giorni dal brutale attentato al museo ebraico di Bruxelles, che ha causato quattro vittime e sul quale le indagini sono ancora in corso, è l’amara considerazione del commissario uscente agli Affari interni dell’Unione europea, Cecilia Malmström, a far capire quanto resti vero l’adagio, sussurrato a mezza bocca nei corridoi dei servizi di sicurezza occidentali, secondo il quale lo spettro del terrorismo non ha mai smesso di aggirarsi per l’Europa. Lo confermano i dati del «Terrorism situation and trend report 2014», appena diffuso dall’Europol: non un documento allarmista, ma un warning che si fonda sull’evidenza dei numeri, sebbene relativi all’anno passato. La prima preoccupazione riguarda il proliferare degli estremismi di natura religiosa, con 216 arresti nel 2013, a fronte di 152 nell’anno precedente. In totale, nella Ue, nel 2013 i fermi di polizia e gli arresti effettuati a carico di persone sospettate di terrorismo sono stati 535, mentre i tribunali hanno concluso 313 processi a carico di altrettanti imputati. Anche la somma dei terrorist attacks, di lieve o grave entità, è considerevole: 152, in media uno ogni 60 ore, con un totale di 7 vittime accertate. Insomma, ammette il direttore di Europol Rob Wainwright, «la minaccia in Europa rimane forte, si manifesta in varie forme ed è spinta da motivazioni diverse». Anche la grave congiuntura economica accresce le tensioni e favorisce una ripresa sia delle azioni di gruppi anarchici e di estrema sinistra dopo la calma del 2012 (in particolare in Grecia, 12 attentati, Spagna, 6, e Italia, 6 tra tentati e riusciti) sia di gesti xenofobi di estrema destra. Calano invece gli attacchi di gruppi separatisti o con motivazioni etniche o nazionaliste: 84 nel 2013 (contro i 167 dell’anno prima) a fronte di 180 arresti. Nel quadro generale, il pericolo maggiore resta quello del «religiously inspired terrorism», sia per via dell’incremento di arresti, sia perché il pericolo dei cosiddetti "lupi solitari" non è scemato. Anzi, «Al Qaeda e altri gruppi analoghi continuano a incoraggiare», anche attraverso proclami e indottrinamenti via Internet, «attacchi auto-organizzati in territorio europeo». Una parte della propaganda passa attraverso i social network, anche se gli occhi puntati dagli 007 americani ed europei su Facebook e Twitter hanno indotto alcuni gruppi a tornare al sistema delle chat room private e a ricorrere a programmi informatici per l’anonimato. Prosegue sottotraccia pure la raccolta di fondi, attraverso «una miriade di metodi» che a volte comprendono anche il ricorso a richieste di donazioni a scopo umanitario, da effettuare su conti aperti nel sistema Paypal. Ma i seminatori di odio non agiscono solo sul web: proprio in Italia, nel 2013, l’ex imam di una moschea di Andria è stato arrestato con altre quattro persone di una cellula tunisina accusata di fornire documenti falsi a migranti irregolari, avviandoli verso "palestre del terrore" in Afghanistan, Iraq, Yemen e Cecenia. I pendolari europei del jihad, altrimenti chiamati «foreign fighters» (diretti soprattutto verso la guerra civile in Siria, che in tre anni ha mietuto 100mila vittime), restano in cima alla lista dei timori. «Il terrorismo di ritorno – sottolinea il capo della Polizia italiana, Alessandro Pansa – è l’unica vera preoccupazione con cui ci confrontiamo».Un rapporto dei servizi segreti francesi, citato un mese fa da Le Figaro parla di 300 cittadini francesi (fra cui un centinaio di donne e 15 minori) partiti per la Siria: 25 di loro sarebbero morti. Altri 400 sarebbero invece partiti dal Regno Unito. In Europa, la cifra totale potrebbe superare il migliaio. Fra loro, immigrati di seconda generazione con passaporto belga e olandese, ma anche italiani "convertiti" al radicalismo come il giovane Giuliano Ibrahim Delnevo, partito da Genova e morto in Siria un anno fa. Per individuarli, è fondamentale la cooperazione fra gli apparati di sicurezza occidentali, che debbono essere capaci, al netto delle reciproche diffidenze innescate dai vari «Datagate», di condividere analisi e informazioni. Un caso positivo è stato ricordato sul mensile Polizia moderna dal direttore dell’Antiterrorismo internazionale della Polizia, Claudio Galzerano: il 16 gennaio gli agenti italiani hanno fermato nel porto di Ancona un franco-tunisino, Abdelkader Tliba, partito per la Siria nel 2012, destinatario di un mandato di cattura europeo per terrorismo e poi estradato in Francia. Gli 007 gli stavano dietro da due anni, dopo lo smantellamento fra Strasburgo, Torcy e Cannes, di una cellula il cui capo (responsabile anche di un attacco dinamitardo contro un negozio ebraico) era rimasto ucciso in uno scontro con la polizia.A riprova della necessità di innalzare la vigilanza, un anno fa su Avvenire, la commissaria Malmström ha invocato un «piano d’azione comune europeo» con «misure concrete». Più volte la Commissione e il Consiglio europeo hanno segnalato la necessità di ampliare lo spettro di misure preventive, affinando i controlli di frontiera, in attesa di verificare se si possa introdurre nel quadro giuridico comunitario una norma per punire i viaggi con finalità di terrorismo. E nel semestre di presidenza europeo (in cui guiderà anche il gruppo di lavoro sul terrorismo), l’Italia potrebbe proporre la costituzione di squadre multinazionali ad hoc. Ma la prevenzione non può essere demandata solo agli apparati di sicurezza. Ad aprile, nel Regno Unito, Scotland Yard ha lanciato un pubblico appello alle mamme di estremisti islamici: «Fermate i vostri figli, se intendono andare a combattere in Siria». C’è chi ha parlato di gesto velleitario, sostenendo come non sempre una madre sia al corrente delle intenzioni dei figli o disponibile a fornire informazioni su parenti. Ciononostante, in tutte le famiglie, le donne (soprattutto se madri) possono essere vero motore di cambiamento. E se quell’appello venisse ascoltato, anche la rete dei combattenti del terrore potrebbe veder calare il numero dei proseliti.
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