sabato 14 giugno 2014
Il confronto con i guerriglieri avviato dal presidente Santos ha portato benefici sociali ed economici. Lo sfidante Zuluaga promette il ritorno alla linea dura, ma il processo pacifico appare irreversibile. Domani le elezioni. (Raul Caruso)
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La Colombia è un paese violento. Il paese è insanguinato da più di cinquant’anni da un conflitto interno che vede la partecipazione del governo, delle formazioni guerrigliere rivali Farc (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) e Eln (Ejército de Liberación Nacional) ma anche di gruppi paramilitari e organizzazioni criminali. Secondo le stime ufficiali dal 1958 al 2012, il conflitto ha causato quasi duecentoventimila morti e più di cinque milioni di rifugiati costretti a lasciare le loro case. La virulenza del conflitto è stata acuita dalle rilevanti risorse finanziarie rese disponibili dalla produzione e dall’esportazione di cocaina di cui hanno beneficiato in misura diversa le formazioni guerrigliere, i gruppi paramilitari e diverse organizzazioni criminali. In parallelo, il crimine è pervasivo in molte aree del paese. Ogni anno le vittime per omicidio ruotano intorno alle quindicimila unità. Il paese ricorda uno schema diffuso nelle economie emergenti afflitte da conflitti: abbondanza di risorse naturali, livelli di povertà estrema in molte aree rurali e periferiche, infrastrutture carenti, bassa produttività nei settori agricoli e manifatturiero e una larga fetta (13%) della spesa governativa destinato a spesa militare.
In queste settimane la Colombia sembra ritrovarsi davanti a un crocevia. Molti osservatori fanno notare che essa non è mai stata così vicino alla pace. Per la prima volta nella storia, sono in fase avanzata negoziati di pace tra il governo e il principale gruppo armato, le Farc, ma nel contempo sono in corso le elezioni presidenziali che potrebbero o rafforzare il processo di pace o interromperlo. I negoziati sono stati voluti dall’attuale presidente in carica Juan Manuel Santos, che una volta entrato in carica nell’agosto del 2010, pur senza interrompere le operazioni militari contro le organizzazioni guerrigliere, ha puntato sulla soluzione negoziata del conflitto. Dopo una serie di incontri informali, i negoziati di pace tra Farc e governo hanno preso il via ufficialmente alla fine del 2012. I cinque punti sull’agenda del negoziato sono: la riforma della proprietà terriera, la partecipazione politica per i rappresentanti della Farc, il disarmo, la produzione di coca e il narcotraffico, un sistema di giustizia transitorio e le misure riparatrici a favore delle vittime del conflitti. I risultati di questo percorso a favore della pace sono stati finora incoraggianti. È stata raggiunta un’intesa di massima sullo sviluppo rurale, la riforma dei diritti di proprietà della terre e le Farc hanno rinunciato allo sfruttamento futuro del narcotraffico. In questi ultimi giorni anche il secondo gruppo armato colombiano, Eln, ha annunciato insieme al governo in carica la volontà di intraprendere un percorso di pacificazione che ponga fine al conflitto e di redigere un’agenda non lontana da quella in discussione con le Farc. Il processo di pace, per altro fin dalle sue prime mosse, sembra aver giovato all’economia colombiana.
La quota di investimenti sul Pil è aumentata di quasi il 10% tra il 2010 e il 2013 e nello stesso periodo la disoccupazione è calata dal 12% al 9,5%. In particolare, gli investimenti provenienti dall’estero si sono praticamente raddoppiati tra il 2010 e il 2011 per poi aumentare nuovamente di quasi il 20% nel 2012 su base annua. Anche la violenza diffusa sembra diminuita, nel 2012 il numero di omicidi è sceso sotto quota quindicimila con una diminuzione del 7% su base annua. Questi effetti positivi, seppur registrati in un breve arco di tempo, avrebbero fatto presagire un favore diffuso nei confronti dei negoziati di pace e quindi un’affermazione netta dell’amministrazione Santos in carica. I risultati del primo turno, invece, sono stati contrastanti. Il candidato conservatore Óscar Iván Zuluaga ha raccolto il 29% delle preferenze, superando Santos che si è fermato al 25%. Gli altri tre candidati, rispettivamente di area conservatrice, progressista ed ecologista hanno raccolto nell’ordine il 16%, il 15% e l’8%. Il ballottaggio tra Santos e Zuluaga di domani non è scontato ed evidentemente dipenderà dalle alleanze che questi saranno in grado di stringere con gli altri schieramenti. I due maggiori candidati, insieme al governo per alcuni anni sotto la presidenza del conservatore Álvaro Uribe, appaiono adesso distanti in primo luogo sulla politica da tenere nel conflitto. Zuluaga ha dichiarato più volte che in caso di vittoria la linea del governo sarà quella di ritornare a una politica di fermezza nei confronti delle formazioni guerrigliere abbandonando nei fatti il processo di pace in corso voluto da Santos. Le Farc e l’Eln hanno adottato un cessate il fuoco unilaterale per il periodo elettorale in attesa dei risultati definitivi. Le Farc, in particolare, hanno apertamente osteggiato l’eventuale vittoria di Zuluaga mostrando di voler continuare sulla strada del dialogo con Santos. Il nodo cruciale dei negoziati di pace e, quindi, delle preferenze dei candidati, rimane la distribuzione della terra e i piani di intervento nelle zone rurali.
La Colombia presenta infatti una profonda concentrazione delle terre nelle mani di pochi proprietari tradizionalmente a sostegno della politica dei conservatori. Il 52% dei contadini detiene solo l’1% delle terre. Fin dalla loro costituzione nel 1964 le formazioni guerrigliere hanno fatto della ridistribuzione della terra una delle motivazioni fondamentali delle loro azioni. L’impresa appare però titanica. La profonda diseguaglianza nella terra risale al diciannovesimo secolo quando il governo colombiano concesse diritti di proprietà favorendo la costituzione di grandi latifondi rispetto alla piccola proprietà terriera. Finora, nella storia colombiana, tutti i tentativi di garantire una più equa distribuzione della terra a favore dei contadini sono risultati vani. Sul mantenimento dello status quo si gioca molto dell’appoggio dei conservatori a favore di Zuluaga. Sulla credibilità del presidente Santos pesa poi come un macigno il caso dei falsos positivos, vale a dire lo scandalo delle uccisioni di civili spacciati per guerriglieri effettuate da membri dell’esercito per ottenere promozioni e bonus monetari. L’attuale presidente, ministro della difesa tra il 2006 e il 2009, è stato chiamato in causa per aver coperto e tollerato questo sistema di cose.
In linea generale, a dispetto delle posizioni che appaiono distanti, la sensazione comunque è che, anche i conservatori non potranno rinunciare del tutto al processo di pace. I benefici che sembrano derivare da un avanzamento della pace sembrano indiscutibili. Da un lato, l’interruzione del processo di pace potrebbe interrompere l’afflusso di capitali stranieri, in particolare nel settore minerario che stanno contribuendo in maniera significativa alla crescita di questi ultimi anni. Dall’altro, una più equa distribuzione delle terre potrebbe favorire investimenti e uno sviluppo più duraturo nelle aree rurali in grado di trascinare ulteriormente la produttività e le esportazioni agricole. L’area di libero scambio con gli Stati Uniti ratificata da Obama nel maggio 2012 dovrebbe essere foriera di benefici e opportunità ulteriori sul lato dell’export. La combinazione di pace e apertura commerciale potrebbe aiutare i colombiani ad affrancarsi dalla spirale di violenza in cui sono stati intrappolati negli ultimi sessanta anni.
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