sabato 21 novembre 2015
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Caro direttore,
mi inserisco nel dialogo fra lei e Romano Bartoloni su “Avvenire” del 18 novembre. Bartoloni auspica che il grande e certamente maggioritario «islam moderato» scenda in campo «contro la serpe che gli cresce in seno». Lei parallelamente attende che i leader musulmani si muovano sulle orme pacifiche di papa Francesco. Auspici buoni il primo e il secondo, che tutti vorremmo veder realizzati, ma che purtroppo sono falliti in passato e tutt’ora tardano. Perché tardano? Perché è l’islam stesso che non permette, purtroppo. È dura da dire, ma senza il Quinto e l’Ottavo Comandamento dei cristiani, né i popoli, né gli intellettuali, né i leader musulmani potranno mai fare quel passo che auspichiamo. Nell’islam è sempre possibile uccidere o mentire al nemico, se questo è un «infedele». Mi pare sia anche nel Corano. E, comunque, il fatto che i «moderati» a un certo punto tacciano, dimostra che non hanno nessuna vera arma teorica in mano da opporre ai fanatici. Non c’è il rispetto della persona, in quanto tale. Ripeto purtroppo, ma occorre prendere atto della realtà anche quando è dura.
Franco Grilli - Mirandola (Mo)
 
Noi con la realtà facciamo i conti, caro amico, ma per quanto è umanamente possibile (e non è affatto poco) vogliamo cambiarla. Il resto è nelle mani di Dio. Perciò nulla è impossibile. Ricordiamoci però che ciò che noi crediamo e viviamo è importante tanto quanto ciò che credono e vivono gli altri, che siano musulmani o di qualunque altra fede o pensiero. Un sistema di valori che sia l’alfabeto condiviso dell’umano si costruisce solo a partire da questa consapevolezza. Ci tocca, dunque e tutta intera, una parte essenziale per diffondere quella che papa Francesco, dandoci l’esempio, chiama la «cultura dell’incontro». Anche con il mondo islamico, che non è un monolite, tutt’altro. Sappiamo, poi, che non c’è nulla di facile nella fatica del dialogo e della lotta contro il male della guerra in qualunque modo esso si presenti e ci tenti. E che niente ci esenta dal dovere – e dalla gioia evangelica, ci insegna ancora il Papa – di cercare, affermare e difendere verità, giustizia, amore e libertà. Proprio perché siamo realisti non possiamo dimenticare che sono questi i nomi della pace.
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