lunedì 29 giugno 2015
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Caro direttore,
consentimi qualche osservazione sul tema non nuovo della violenza che percorre spesso la nostra vita sociale, nello sport, nelle manifestazioni pubbliche, negli stessi dibattiti politici, per non parlare della Expo 2015. Fuori discussione la libertà di pensiero, di parola, di manifestazione, come pure la necessità di lottare contro ogni ingiustizia, con l’opportuno richiamo, per i credenti e per le persone di buona volontà, a quanto tutti i giorni papa Francesco ci propone sui temi della solidarietà e appunto della giustizia. Ma, proprio a partire da queste indicazioni, occorre forse un maggior impegno, perché libertà e giustizia crescano e si diffondano in un clima di serenità superando ogni tentazione di violenza fisica e verbale.
In particolare, chiedo il tuo parere su due questioni fra di loro intrecciate. La prima riguarda il servizio necessario degli strumenti della comunicazione sociale. Non si può far nulla perché il diritto/dovere dell’informazione, da difendere sempre, sia posto in rapporto costruttivo con la responsabilità pubblica e quindi anche educativa nei confronti della vita civile del nostro Paese? Penso alle modalità e alle priorità delle notizie e dei commenti, e della conseguente comunicazione. Penso alle possibili forme di autocontrollo e autodeterminazione. Penso agli interventi non superati, tra gli altri del cardinale Martini, sulla verità o almeno sulla oggettività delle fonti di informazione. Ciò riguarda in generale la vostra professione ma tocca non marginalmente anche il tema della violenza. La seconda questione, strettamente collegata alla prima, riguarda l’impegno educativo nei confronti dei giovani (ma non solo): nelle nostre realtà ecclesiali, parrocchiali e associative, ma anche delle scuole e in genere delle istituzioni culturali di ogni ispirazione. Non possiamo non avvertire la necessità di proporre princìpi e valori veri, da porre alla bas e della convivenza sociale, se vogliamo che le nuove generazioni crescano con convinzioni forti di Bene comune. Non si deve forse insistere di più sul rispetto della legge, che a sua volta rispetti ciò che viene prima della legge stessa (parliamo ancora, nonostante tutto, di "diritto naturale")? E sul rifiuto, sempre, fatto salvo il diritto all’obiezione di coscienza e alla libera espressione del proprio parere, in ogni ambito di vita della violenza fisica e verbale?
Certo, occorre istituire o potenziare luoghi e strumenti di partecipazione, di democrazia e di buona amministrazione, con i pesi e i contrappesi di cui giustamente si parla. E forse, o senza forse, occorre educarci tutti al rispetto vicendevole, all’accoglienza solidale e fattiva, al dialogo paziente e motivato, alla ricerca fondata e argomentata che apre il cuore a ogni ragione di bene che difenda la vita e la pace. I problemi della nostra società odierna sono tanti e di non facile soluzione. Bisogna incoraggiarci a pensare, a parlare, a proporre soluzioni, con la partecipazione civile che la Costituzione insegna e che sta alla base della democrazia. Sono parole antiche e sempre attuali, che attendono testimoni credibili che le mettano in pratica. Grazie per l’attenzione e saluti cordiali.
Giuseppe Merisi - Vescovo emerito di Lodi
Sono serie e grandi le questioni che mi vengono poste nella bella lettera del vescovo Giuseppe che in questi anni di direzione di «Avvenire» ho imparato a conoscere e apprezzare – da lettore, amico e padre – nel servizio reso alla Chiesa di Lodi e alla Caritas italiana. E mi riguardando fortemente, per il mio essere cittadino (e padre di famiglia) e per il mestiere che faccio da molto tempo ormai, prima nei giornali cosiddetti “laici” e poi qui, nel quotidiano nazionale di ispirazione cattolica. Proprio per questo ne parlo spesso faccia a faccia con la gente che incontro in giro per l’Italia e che sopporta e converte molte storture con cristiana pazienza, ma non ne può più delle diverse, e tutte intollerabili, manifestazioni di violenza: dai femminicidi alle violenze negli stadi (e nei loro dintorni), dalle intimidazioni bulliste agli omosessuali ai progetti liberticidi contro i presunti «omofobi» (perché difensori della famiglia costituzionale). Devo però dire che il modo con cui monsignor Merisi pone le domande conduce già alle risposte. Di questo gli sono grato perché posso limitarmi a un pensiero da cronista. Un pensiero che riprende e, parafrasandolo, adatta ai mass media vecchi e nuovi lo splendido, fulmineo e ancora attualissimo monito formulato nel 1976 da Aldo Moro, intellettuale cattolico e statista dalla vista lunga e profonda e dalla consapevolezza acuta e niente affatto retorica di quell’impegnativa e coinvolgente forza dei valori costituzionali che vengono richiamati nella lettera: «Questo Paese non si salverà, e la “stagione dei diritti” si rivelerà effimera, se non nascerà in Italia un nuovo senso del dovere». Il ruolo dell’informazione e la stima nel servizio che rende non resisterà e la stagione delle assolute libertà rivendicate si rivelerà vuota e devastante per la coscienza pubblica se non crescerà nei cronisti (e nei lettori) la consapevolezza dei valori che presidiano democrazia e civile convivenza e un conseguente, esigente senso del dovere.
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