lunedì 23 febbraio 2015
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Oriano Caretti ha pelle rosea, polsi robusti e stivali sempre sporchi. «La chimica ti dà tutto - spiega -, fosfati, azoto, potassio; ma niente nutre il terreno come questo letame. Tu senti la puzza e invece il letame, credimi, è una risorsa». Così dicendo si abbassa e afferra una manata di terriccio. Bruno e acre, che si sfarina. Non li vedi, ma lì dentro - assicura l’Oriano - i batteri si stanno dando un gran daffare: «Metabolizzano tutto, diserbanti compresi. Dove c’è il letame non c’è inquinamento». E pazienza se l’Europa ci ha raccontato per anni una storia del tutto diversa e i Caretti hanno comprato centinaia d’ettari per stare in regola con la direttiva nitrati. Oriano alleva 300 vacche, metà in lattazione, e gestisce col fratello un caseificio da 15.000 forme. Sa tutto quel che c’è da sapere su questa terra di stalle e medicai, di latte e di formaggi, così come lo sapevano suo padre e suo nonno, che il letame lo spalavano a Sant’Angelo, quando il nastro trasportatore non c’era ancora e lo stallatico si portava via con la carriola: «Vedi com’è tutto pulito? Anche la paglia e il foraggio, che dev’essere fresco - racconta - perché se in un allevamento entra il clostridium botulinum sono guai seri». Diversamente dal Grana Padano, il latte destinato a produrre il Parmigiano Reggiano non può essere disinfettato: «il nostro è un prodotto di qualità, genuino come questa puzza, che vuol dire più lavoro e più costi».Il dente duole, si capisce; il prezzo di questo formaggio a pasta dura è sceso di due euro e quello del latte non è mai stato così basso. Il prodotto spot viaggia intorno ai 35 centesimi al litro e i 3328 allevatori che, tra Bologna, Reggio Emilia, Modena, Parma e Mantova, lo conferiscono ai 363 caseifici del Consorzio del formaggio Parmigiano Reggiano (3,3 milioni di forme) ne incassano 15 in più; ma i costi imposti dal disciplinare di produzione sfiorano i 60 centesimi sicché i conti non tornano neanche se consideri contributi Pac e ricavi carne. «Come se non bastasse, poi, dalle frontiere entra di tutto e...» e a questo punto il Caretti ti spiega cosa sia la concorrenza sleale con un’espressione grassa come la terra di qui.Questo tipo di zootecnia vive di programmazione e fidi bancari. Uno starnuto dei listini e finisci in bancarotta e «chiudere una stalla è una scelta irreversibile - precisa Caretti - perché la selezione di una mandria impegna generazioni di allevatori». Se, com’è avvenuto in questi ultimi anni, i listini perdono il 20% iniziano a saltare le teste. La Coldiretti ha chiesto quella del presidente del Consorzio, Giuseppe Alai, uomo forte di Confcooperative, accusandolo di aver sbagliato strategia e aver fatto affari attraverso una società magiara (piovono querele). Alai paga il crollo dei prezzi - due euro secondo l’accusa, uno secondo il consorzio - e il buco milionario di una partecipata, la I4S, che avrebbe dovuto rilanciare l’export. Lui sottolinea che la domanda interna sta crescendo (+1,7%) e propone di modulare la produzione; una contromisura impopolare, dal momento che fa rientrare dalla finestra le contestatissime quote latte, che l’Ue abolirà dal primo aprile. Per la Coldiretti, la vera priorità è fermare l’invasione di Similgrana di bassa qualità, un giro d’affari da due miliardi, quanto l’export di Parmigiano e Grana Padano presi insieme.Va detto che la crisi del re dei formaggi non è un fulmine a ciel sereno: per anni, al suo capezzale sono accorsi i ministri dell’agricoltura, pronti ad acquistare qualche migliaio di forme con i soldi pubblici per distribuirle agli indigenti. Un palliativo che non esorcizza più la paura di fare la fine del maiale. Letteralmente, come ti dicono a Langhirano, dove hai la sensazione del déjà vu: «Non vogliamo finire come i suinicoltori» taglia corto Luca Cotti. Con 7.000 quintali di latte, è uno dei consiglieri del consorzio del Parmigiano che chiedono l’azzeramento delle cariche. «Il bilancio I4S è in profondo rosso, siamo spariti dalla tv e gli italiani ormai conoscono solo il Parmareggio. Cosa aspetta Alai a trarre le conseguenze?» sbotta. I Cotti sono allevatori da sempre. Passano le loro giornate a confrontare le performances dei tori: Golden Dreams ha ottimi arti e mammelle perfette, ma il latte di Mascalese è imbattibile… «Acquistiamo il seme e ogni anno la stalla cresce del 5%. La nostra selezione non deve mai fermarsi ma se il prezzo crolla siamo rovinati. Ora l’incubo è quello di fare la fine del prosciutto: arrivano camionate di cosce dall’estero e sono spariti gli allevamenti emiliani, ma la fine è iniziata proprio nello stesso modo, con l’agropirateria e un atteggiamento rinunciatario. Per questo vogliamo che il consorzio ci difenda e che faccia una vera promozione; ma per cambiare rotta servono persone nuove, i responsabili del dissesto non hanno l’autorevolezza per chiederci altri sacrifici». Concetti decisi, come la puzza di queste stalle che sovrasta tutto. Quella delle porcilaie, del resto, non si sente più.
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