martedì 22 ottobre 2013
Oligopoli finanziari contro Stati: a pagare sono i cittadini (di Leonardo Becchetti)


L'ANALISI Stati uniti ed Europa più fragili, il rischio di instabilità globale Vittorio E.Parsi
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Pi Iva meno Iva, più Imu meno Imu. I capponi dei Promessi Sposi si beccavano tra di loro mentre mani forti li portavano al mercato per essere venduti e poi messi in pentola. È esattamente quello che sembra accadere nel nostro Paese dove nessuno alza la testa per cercare di capire in che mondo stiamo vivendo. Il campo di regata internazionale è quello di politiche fiscali nazionali "rubamazzo" (beggar-thy-neighbour dicono gli inglesi), miopi e non cooperative, dove ciascuno cerca di creare danni all’altro riducendo il proprio costo del lavoro per aumentare la competitività dell’export. Ma se tutti però fanno così, chi compra?
I rischi del «rubamazzo»Le politiche fiscali cosiddette "rubamazzo" deprimono il benessere del lavoro e la domanda mondiale e sono il contrario di un auspicabile coordinamento di manovre espansive, più pronunciate nei Paesi con attivi del saldo commerciale o delle partite correnti. E tutti ormai sembrano aver dimenticato che le finanze pubbliche degli Stati sono così malridotte perché gli Stati hanno perso una guerra, quella contro i grandi oligopoli della finanza. Che prima, attraverso il sistema delle "porte girevoli" tra posizioni di vertice nei cda e nella politica, hanno condizionato e "corrotto" (in modo più o meno soft) governi e regolatori eliminando progressivamente i limiti all’indebitamento e alla speculazione e abolendo la separazione tra banca commerciale e banca d’affari che ha dato il via libera al paradosso di banche "commerciali" affette da ludopatia speculativa con i soldi dei depositanti e coperte dalla garanzia del salvataggio pubblico. La sloteconomics è dunque impazzata fino al punto in cui, vittime dei loro stessi eccessi e dei testa coda in una circolazione finanziaria senza più semafori né stop i giganti della finanza sono falliti facendo precipitare il mondo in una gravissima crisi finanziaria.
Gli oligopoli salvati<+tondo_bandiera>Ma il capolavoro è avvenuto proprio in questo apparente momento di debolezza nel quale i grandi oligopoli sono dovuti andare in giro col cappello per chiedere il salvataggio degli Stati. È qui che gli Stati hanno rivelato la loro debolezza salvandoli, a parte il caso Lehman, senza porre alcuna condizione e senza realizzare una coraggiosa opera di antitrust che ci avrebbe liberato delle banche troppo grandi per fallire e troppo complesse per essere regolate. Tre sole cifre spaventose ci servono per capire i tempi pericolosi in cui continuiamo ancora a vivere. Il Pil mondiale si aggira attorno ai 65 trilioni (migliaia di miliardi) di dollari, mentre le quattro principali banche internazionali maneggiano nel complesso contratti "derivati" per un totale di 200 trilioni di valore nozionale. Derivati posseduti al 95% solo per motivi speculativi, scambiati in mercati informali nei quali i contraenti spesso non concordano neppure sul loro valore. E per salvare questi mostri gli Stati hanno pagato complessivamente 14 trilioni di dollari aggravando lo stato dei loro bilanci.
Cittadini vittime dei debiti di guerraGli sconfitti ovviamente sono i cittadini che stanno pagando i debiti di questa guerra nei vari Paesi sotto forma di tagli a beni e servizi pubblici. Gli effetti in termini di aumento della disoccupazione e della povertà sono sotto gli occhi di tutti. Ma la beffa maggiore è quella della retorica dominante per la quale la virtù è l’obbedienza e l’efficienza nel pagare il debito di guerra. Come nel caso dell’Irlanda dove in un solo anno il deficit pubblico necessario per salvare le banche fallite è arrivato al 30% del Pil (altro che 3%) facendo esplodere il debito. La cura da cavallo del Paese ovviamente è stata pagata anche in questo caso in termini di riduzione di beni e servizi pubblici. I colpevoli insomma non sono gli amministratori delegati delle grandi banche d’affari (come quello della Lehman, che nell’anno del fallimento aveva una remunerazione complessiva che un professore di scuola avrebbe potuto raggiungere in 4.500 anni, iniziando cioè a lavorare dai tempi dei Sumeri) ma i dipendenti pubblici e gli Stati spendaccioni.
Una fase post-bellicaLa nuova fase post-bellica è quella nella quale, vista l’indisponibilità degli Stati ad adottare politiche fiscali espansive coordinate, lo stimolo espansivo è demandato alle banche centrali che però pompano moneta in un acquedotto che perde. I soldi arrivano abbondanti, ma finiscono per lo più nei canali della speculazione che vede ovviamente con favore questo tipo di intervento. I mercati finanziari ritrovano subito i massimi pre-crisi mentre l’economia mondiale ne resta lontana. E si prepara il terreno per nuove bolle speculative e crisi finanziarie che saranno pagate dalla finanza pubblica e dai contribuenti. La questione chiave pertanto è riparare l’acquedotto della finanza mondiale per evitare che la liquidità si perda per strada e non arrivi ai destinatari finali (famiglie e imprese). La banca centrale del Regno Unito ci ha provato con il funding for lending, concedendo liquidità alle banche solo in proporzione della variazione positiva dei loro prestiti.
Le riforme possibiliPer la campagna «005», che riunisce un vasto cartello di organizzazioni della società civile europea, la soluzione più radicale dovrebbe seguire invece tre direzioni. Ripristinare la separazione tra banca commerciale e banca d’affari per motivi di trasparenza e per evitare che i soldi immessi nel sistema da Draghi, si trasformino in sussidi alla speculazione; tassare con un’aliquota molto bassa le transazioni finanziarie per modificare gli incentivi delle banche tra trading speculativo ad alta frequenza (che diverrebbe non più conveniente) e prestiti all’economia; favorire la biodiversità bancaria e con essa quelle banche non massimizzatrici di profitto (banche etiche, cooperative, casse rurali) che hanno una specifica vocazione di servizio all’economia reale.
Liberarsi delle cateneCon la strategia cui sembra ispirarsi la prossima legge di stabilità il governo accetta in pieno la logica che il problema siano le nostre finanze pubbliche e la strategia del rubamazzo che, se realizzata efficacemente da tutti i Paesi in contemporanea, non può che portare al paradosso della depressione della domanda mondiale e del progressivo deterioramento del benessere del lavoro. Ma un governo come questo, di cui riconosciamo le qualità di manovra, dovrebbe cominciare seriamente a volare alto a livello internazionale e porre nelle sedi giuste la questione della modifica del campo di regata. Per quanto dobbiamo continuare a vivere in un mondo di ricchezza senza nazioni (ricchezza nei paradisi fiscali) e nazioni senza ricchezza, di banche centrali che sussidiano la speculazione e di politiche fiscali miopi e non cooperative? Sembra di parlare contro gli spettacoli dei gladiatori e a favore dell’introduzione di sport meno cruenti ai tempi dell’antica Roma. Prima o poi impareremo a vivere meglio se sapremo sostenere con forza l’evidenza che è possibile liberarci delle nostre catene e vivere molto meglio.
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