sabato 28 febbraio 2015
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Settemila cooperatori di Confcooperative incontrano oggi papa Francesco. Rappresentano 20mila imprese associate, 550mila occupati, 3 milioni e 300mila soci e 65 miliardi di fatturato aggregato. «L’espressione di una parte del Paese – dice Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative – che ha sentito la crisi, ma non si è rassegnata. Si è rimboccata invece le maniche per non chiudere imprese e non diventare marginale sul territorio». Qual è stato il 'valore aggiunto' del mondo cooperativo nei lunghi anni della crisi? Le realtà cooperative hanno sempre avuto una funzione anti-ciclica, la capacità di resistere meglio all’onda d’urto, grazie alla loro flessibilità. Ma la possono avere, questa funzione, per due-tre anni di recessione, non di più. E l’ultima crisi sta mordendo da quasi sette anni: nei primi il mondo cooperativo è riuscito addirittura a creare nuovi posti di lavoro. Poi, per mantenerli, ha dovuto stringere davvero la cinghia. Limando ad esempio la redditività e la patrimonializzazione. Ora s’iniziano a intravedere dei timidi segnali di ripresa. Il Pil, nel primo trimestre, dovrebbe tornare a crescere. Anche per le coop il clima sta cambiando? Da poche settimane, ascoltando gli associati, registro in effetti i primi segnali di ottimismo. In particolare dalle cooperative che hanno una vocazione all’export o si stanno muovendo in questa direzione. E soprattutto nel settore agrolimentare. Cosa possono dare, oggi, le coop a un Paese che prova a voltare pagina? Il mondo cooperativo non è disponibile a rinunciare alla propria capacità di rispondere al bisogno. Vuole essere, anzi, ancora più generoso con il proprio Paese per contribuire a ridargli slancio. Come, concretamente? Penso ai disoccupati che si sono messi insieme e hanno fondato una cooperativa. Alle imprese sociali che lavorano nei quartieri più difficili delle nostre grandi città. Alle cooperative agricole che tengono alta la bandiera del made in Italy. Alle migliaia di cooperative impegnate nella creazione di un Welfare sussidiario per stare accanto agli anziani e ai disabili. Con l’obiettivo – non solo e non tanto – di far crescere semplicemente il Pil, ma di migliorare la qualità della vita di tutti, e in particolare di chi è più in difficoltà. Chi sta invece lottando più strenuamente con la recessione fra le realtà che aderiscono a Concooperative? In questo momento a soffrire sono tante banche di credito cooperativo che, per il contesto economico, hanno margini ridottissimi. E ce li avranno ancora per tutto il 2015. A proposito di credito: il governo ha deciso di riformare dieci grandi banche popolari con statuto cooperativo e trasformarle in Spa. C’è il rischio che la riforma interessi a un certo punto anche le Bcc? Il governo è stato chiaro: il credito cooperativo è diverso dal mondo popolare. Purtroppo il mercato non fa sconti, e non li fa nemmeno la Bce, che prevede un unico modello bancario, a differenza di quanto accade negli Stati Uniti, dove hanno saputo valorizzare la pluralità immaginando criteri differenti per le realtà cooperative che operano sul territorio. Temo pertanto che se le Bcc non faranno un auto-riforma, sulla quale per altro già stanno lavorando, il governo interverrà. Non sarà in ogni caso un lavoro facile: dovranno studiare un modello di integrazione che non lasci scoperti quei territori periferici dove le grandi banche non ci vanno, ad aprire sportelli, ma ci sono famiglie e piccole imprese da servire comunque. Il valore sociale delle Bcc, cioè, deve essere riconosciuto e valorizzato. L’altra riforma alla quale il governo sta lavorando interessa proprio il Terzo settore: cosa chiedete? Di costruire insieme un nuovo Welfare sussidiario. Il Paese cresce quanto più i cittadini se ne caricano un pezzo sulle spalle. La sussidiarietà nel Welfare è 'la' prospettiva con cui dobbiamo guardare al futuro grazie all’apporto del privato-sociale. Fra pochi mesi, a trent’anni dal primo incontro ad Assisi dei cooperatori, quando ancora non esisteva una legislazione in materia, ci ritroveremo sempre ad Assisi per riaprire il confronto. E invitiamo anche il governo ad ascoltarci per completare la riforma. Con quali responsabilità, da parte vostra? Non chiediamo privilegi. Il pubblico, ad esempio, si fidi solo di cooperative certificate e capaci di fare il loro mestiere. Non ci si improvvisa cooperatori, altrimenti succede quello che è successo a Roma e si finisce per alimentare patologie e reati. Ci sia una rigida selezione e un accreditamento forte. Il Terzo settore è sostenuto dal punto di vista fiscale? E stato smantellato quasi tutto. Si paga a seconda dei settori anche per gli utili accantonati a riserva. E parliamo di utili non redistribuiti. Fortunatamente, il governo ci ha aiutato di fronte alla richiesta dell’Europa di alzare l’Iva al 10% sulle prestazioni socio-sanitarie. C’è stata una levata di scudi e, almeno per ora, la battaglia sembra vinta.
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