venerdì 2 gennaio 2015
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​Più d’una leggenda è all’origine del ritratto. Quella, ad esempio, narrata da Plinio nella sua Naturalis historia, d’una giovane greca, figlia di un figulo di nome Butade, che disegnò su di un muro la sagoma del viso dell’amato prossimo a partire; o quella, celebre, di Narciso. Fin dall’antico in effetti l’uomo si è posto a ritrarre e ritrarsi. E pur avendo subito con l’avvento della fotografia un’indubbia caduta di interesse, il ritratto non ha smesso di suggestionare artisti e pubblico.
 
Complesse e molteplici ne sono le ragioni, psicologiche e sociali, oltre che comunicative. Più che in altri generi nel ritratto c’è la persona, scrive Clara Gelao nel suo bel saggio a introduzione del catalogo d’una mostra in corso presso la Pinacoteca Provinciale di Bari di cui è direttrice, intitolata appunto "Persone", che annovera centoquindici opere, tra dipinti, disegni e sculture.
 
Non solo immagini di una «mancanza», come ha affermato recentemente Emanuele Trevi sul Corriere della Sera, di un’assenza, di una distanza, ma di una presenza che l’opera rinnova nella pienezza della lingua viva dell’artista. Scrive Clara Gelao: «L’obiettivo posto alla base della ricerca è stato quello di svelare, oltre l’immagine, la persona reale, …l’essere umano con la sua storia. E non può non suscitare un sottile senso di sgomento riflettere sul fatto che tutte le persone, note e meno note, le cui immagini pittoriche o scultoree compaiono nell’esposizione non ci sono più, sono morte, e talvolta ne conosciamo pensieri e personalità solo attraverso le loro immagini».
 
Una ricerca che va dunque al di là della ricognizione storico-critica, implicando una reale partecipazione umana e una riflessione spirituale. Anche per questo la mostra è stata accompagnata da un laboratorio. Per alcuni dei ritratti esposti, due giovani studiose dell’Università di Bari hanno provato a suggerire corrispondenze tratte dalla letteratura italiana e straniera, "ritratti in prosa", suggestive evocazioni di omologhe atmosfere.
 
In mostra sono presenti poi numerosi autoritratti. Perché in definitiva l’artista si ritrae? Cosa lo spinge a confrontarsi con la sua immagine? Naturalmente anche qui le risposte sono molteplici e una esauriente disamina implicherebbe seri approfondimenti psicoantropologici, ma è certo che l’autoritratto ci restituisce una lettura in diretta del mondo dell’artista, anche al di là del contingente, nel profondo di uno sguardo d’anima.
 
La mostra barese ha un punto di forza. Non è rassegna ordinata solo sul filo del personale disegno estetico e tematico del curatore, ma affonda la ricognizione nella realtà pugliese: nella sua civiltà, nella sua storia. Le opere provengono da musei e collezioni private e pubbliche e ciò annette un’ampia rappresentazione della memoria collettiva, con un molteplice sguardo ai sentimenti privati e ai pubblici interessi. C’è insomma l’implicito raccordo col territorio, fatto non solo di riferimenti contingenti, tra cui provenienza e committenze, ma anche di sensibilità e di atmosfere, di ideali e sentimenti.
 
Perché il ritratto non è stato solo un segno di distinzione, celebrativo ad esempio di una tradizione familiare, ma anche il contesto d’una memoria del tutto personale: di un caro dipartito, di un amore scomparso, di cui si vuole conservare il ricordo e il profilo. Il ritratto può essere idealizzato, adeguato e rapportato alla personalità del ritrattato, avere talora una incredibile identità fisionomica, come in tanti straordinari ritratti in cera, come racconta Julius von Schlosser nella sua bellissima Storia.
 
La provenienza localistica delle opere non implica riduttività e povertà di presenze artistiche: nomi e opere anche notevoli sono in mostra. Come l’autoritratto di De Nittis nella sua casa-atelier di Parigi, in cui l’artista si rappresenta sulla destra del dipinto, quasi defilato, e lascia che lo sguardo dell’osservatore spazi in profondità, vano dopo vano, scorrendo il raffinato corredo delle suppellettili. Sempre di De Nittis è ancora un poco conosciuto ritratto della moglie Léontine (Controluce, 1878-1880).
Ci sono poi il ritratto del pianista A. Rey Colaco di Giovanni Boldini e quello, notissimo, dell’architetto Mario Chiattone, di Achille Funi; un Ritratto di giovane uomo di Silvestro Lega, quello di Vincenzo Migliaro, realizzato da altro artista, Michele Cammarano (e qui sarebbe interessante approfondire la storia dei ritratti tra artisti), il finissimo Ritratto di Vernon Lee di John Singer Sargent, la splendida Madame Julien de Sauzay di Santiago Arcos y Megalde, e ancora le opere di Gioachino Toma e Postiglione e, tra i più recenti, di Carlo Levi e Domenico Cantatore.
 
Ma l’opera più suggestiva è forse un dipinto di Antonio Mancini, una Servetta abbigliata e ritratta in posa di signora, lo sguardo incerto, trepido, dolcissimo e pensoso, ma colmo di speranza.
 
Bari, Pinacoteca Provinciale
Persone
Ritratti di uomini, donne bambini (1850-1950). Dalle collezioni pubbliche e private pugliesi
Fino al 31 marzo
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